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Grido d'allarme
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di Santo Della Volpe*

Grido d'allarme

La “pervicace ostinazione della organizzazione criminale impone che non vi sia alcun calo di tensione nella lotta al fenomeno mafioso e che l’azione di contrasto sia massimamente tempestiva e serrata”: è una constatazione, ma è anche un appello, un grido d’allarme quello che, riferendosi a Cosa Nostra (ma non solo), la Direzione Nazionale Antimafia lancia a tutti. Alla magistratura e Forze di Polizia, ma soprattutto alla società civile nel suo complesso ed al mondo politico.

La relazione del 2011 propone infatti molti spunti di riflessione. Una Cosa Nostra che, dotata di una “costituzione formale” e di una “costituzione materiale”, ha dimostrato ampie capacità di rinnovamento; e che riprende in mano, dopo il silenzio del 2010, lo strumento dell’omicidio per la risoluzione di problemi interni all’organizzazione (5 assassinii nella sola provincia di Palermo).

Una mafia nei cui confronti la DNA chiede “un  flusso costante di nuovi, più raffinati e sempre più efficaci strumenti normativi e di risorse anche economiche per tenere testa all’organizzazione criminale”. E capace, si nota nella relazione, di muoversi agevolmente anche fuori la Sicilia, soprattutto in Lazio, in Liguria ed in Lombardia dove si sviluppa la sua “tendenza al processo di infiltrazione nel tessuto socio-economico della regione attraverso la gestione e lo sfruttamento di attività economiche apparentemente lecite ma utilizzate quale  schermo per la commissione di reati finanziari e fiscali”.

E’ in queste parole l’argomento che sottoponiamo all’attenzione dei lettori questa settimana: quella capacità criminale che partendo dal controllo, sul territorio, delle lucrose attività criminali (nuove e vecchie come il racket, la droga e gli appalti), sposta poi ingenti risorse economiche nelle piazze  finanziarie, nei luoghi degli affari e dell’economia in crisi, intervenendo per riciclare, comprare, inquinare le attività economiche.

Lo fa Cosa nostra, ma lo fanno anche la camorra e la ‘ndrangheta, estendendosi così a macchia d’olio su tutto il territorio nazionale, con quella “linea della palma” della metafora di Sciascia, che sale verso Nord. Cammina su e giù per la penisola questa mafia della zona grigia, agevolmente, portata da personaggi apparentemente insospettabili, oppure più che sospettabili, ma riciclati, anche politicamente. Nota la relazione della DNA che, nella camorra, ad esempio, si nota “la presenza di settori del mondo imprenditoriale, i quali, in un rapporto di reciproco vantaggio, sono portati a condividere gli obiettivi dei programmi criminosi dei clan camorristici, mettendo a disposizione il proprio know-how, di cui è componente essenziale la rete relazionale con professionisti (commercialisti, notai, avvocati, funzionari di istituti di credito, intermediari finanziari ecc.) o esponenti politici, nazionali e locali”.   

E’ lì che si annida la capacità delle mafie di inquinare il mondo pulito dei lavori, dei mestieri, della politica, dell’imprenditoria e del commercio: sono quei mondi dei professionisti che devono dire i “no” che contano nei momenti decisivi, sapendo con chi hanno a che fare, conoscendo non solo le conseguenze dei propri comportamenti, ma l’importanza del ruolo “nazionale” del loro lavoro pulito. E’ la rinnovata coscienza nazionale, etica oltre che economica, che chiede l’Italia che rivolge il suo sguardo verso l’Europa. Per sottrarre alle mafie quei 250 miliardi di euro annui dell’economia criminale in Italia; e per contrastare l’emergenza mafiosa di questi anni, la ‘ndrangheta calabrese.

La relazione della DNA è, su questa mafia, precisa e tagliente: “la ‘ndrangheta, malgrado l’incisiva e straordinaria attività di contrasto dispiegata nel periodo in esame, si manifesta e si espande sempre più sul piano nazionale ed internazionale, puntando a riaffermare la propria supremazia con immutata arroganza, soprattutto sul piano delle disponibilità finanziarie, che sono ormai illimitate, e raffinando ulteriormente il proprio agire criminale. Può affermarsi, senza tema di smentita, che la ‘ndrangheta ha caratteristiche di organizzazione mafiosa presente su tutto il territorio nazionale, globalizzata ed estremamente potente sul piano economico e militare tanto da potere essere definita presenza istituzionale strutturale nella società calabrese, interlocutore indefettibile di ogni potere politico ed amministrativo, partner necessario di ogni impresa nazionale o multinazionale che abbia ottenuto l’aggiudicazione di lavori pubblici sul territorio regionale.”

Come se non bastasse, la relazione DNA del 2011 entra nel problema con precisione e denuncia: “E’ bene, quindi, rilevare ed evidenziare che gli allarmanti (rectius: inquietanti) rapporti intrattenuti con rappresentanti delle istituzioni, con politici di alto rango, con imprenditori di rilevanza nazionale (disvelati da numerose indagini dispiegate in varie regioni nel corso del periodo in esame) non sono soltanto frutto esclusivo del clima di intimidazione e della forza intrinseca del consorzio associativo, bensì il risultato di una progettualità strategica di espansione e di occupazione economico-territoriale, che, oramai, si svolge su un piano assolutamente paritario; rapporti con istituzioni ed imprese volto ad intercettare flussi di denaro pubblico, opportunità di profitti e, contestualmente, ad innestare nel libero mercato fattori esterni devianti (di nitida derivazione criminale e di inquinamento economico), ma tendenti verso una nuova fase di legittimazione imprenditoriale e sociale idonea a conferire un adeguato grado di ‘mimetismo imprenditoriale’  e ciò allo scopo evidente di eludere le indagini patrimoniali ed assicurare, nel tempo, stabilità economica alle attività imprenditoriali. Detto fenomeno è ancor più evidente nel Nord-Italia ove la ‘ndrangheta opera in sinergia con imprese autoctone o, in talune occasioni, dietro lo schermo di esse”.

Ma nella stessa relazione, proprio a partire da questa mafia così pericolosa, la DNA  segnala come l’aggressione ai patrimoni mafiosi, la mobilitazione della società civile e l’intensa attività di Polizia Giudiziaria, abbiano aperte delle brecce significative, nella ‘ndrangheta ma non solo. Qui, nella mafia calabrese, sono arrivati i collaboratori di giustizia a rompere il monolite criminale calabrese: 7 a Reggio Calabria, 12 a Catanzaro, 1 a Milano. E non è poco. Ma la penetrazione calabro-mafiosa è potente in Lombardia, Toscana  ed Emilia Romagna, mentre all’estero (in Europa e nel mondo, dal Canada all’Australia), la relazione segnala inquietanti presenze, ma anche un contrasto più efficace.

Luci ed ombre quindi: ma il contrasto può essere vincente. Con una premessa che vale per tutti. E’ necessario ascoltare quel grido e quell’allarme della DNA: non abbassare la guardia, aggredire la corruzione ed i patrimoni mafiosi, colpire le connessioni con il mondo dell’imprenditoria, della politica, delle professioni; quella zona grigia che va eliminata con una costante attività di repressione e culturale. Senza disarmare la magistratura con inusitate incursioni come quella sulla responsabilità civile dei magistrati, un’arma alla tempia di chi indaga, un pessimo segnale per chi vuole affermare la legalità, un intollerabile favore politico alla criminalità organizzata.

*tratto da www.liberainformazione.org


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