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Le cause della crisi italiana
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di Nicola Tranfaglia

Le cause della crisi italiana

C’è ancora un’imperfetta consapevolezza, tra gli italiani, sul  carattere complessivo - insieme economico-sociale, culturale e politico - dell’attuale crisi dell’Italia contemporanea.   Per rendersene conto basta leggere la stampa quotidiana e periodica o, ancora meglio, ascoltare uno dei tanti telegiornali che si dedicano a queste analisi, invitando di solito esponenti della classe politica o del ceto imprenditoriale. Ma, dal punto di vista storico che oggi ci interessa in maniera particolare, possiamo dire quali sono le ragioni della grave crisi che attanaglia il nostro paese?
Tento di farlo in uno spazio ristretto, salvo ritornare in una prossima occasione sull’argomento che, da qualche anno, ci vede tutti coinvolti.
La prima ragione è di sicuro la contraddizione di fondo tra l’arretratezza dello Stato e l’attuale società economica e sociale.
Settant’anni fa (e gli storici di quel periodo sono tutti d’accordo sul problema, quando venne fondata, dopo la seconda guerra mondiale, la democrazia repubblicana) non si ebbe  né la forza né la capacità di creare un nuovo Stato, inteso come apparato pubblico complessivo, e i principi costituzionali, approvati alla fine del 1947, sono rimasti finora in gran parte lettera morta. Sicché si restò alle vecchie strutture statali presenti nell’Italia liberale e fascista come se non fosse successo nulla di nuovo e questo ha costituito una grande palla al piede per la nostra repubblica.
Le responsabilità sono essenzialmente delle classi dirigenti italiane e dei principali partiti politici, la Democrazia Cristiana e i partiti laici da quello liberale, al repubblicano al socialdemocratico e al socialista, che hanno governato il paese per gran parte del periodo storico che abbiamo alle spalle fino all’irruzione clamorosa del leader populista Silvio Berlusconi che ha guidato, per quasi vent’anni, la nostra povera Italia. Ma anche gli esponenti decisivi dell’opposizione comunista hanno le loro responsabilità, come avviene sempre di fronte ai problemi capitali di un popolo.
La seconda ragione che mi sembra di dover indicare  è quella economica, e soprattutto dei mutamenti che su questo piano sono avvenuti a livello continentale e mondiale. 
La più rapida circolazione delle merci e degli uomini che si è stabilizzata nell’ultimo trentennio ed ha abbattuto le vecchie barriere nazionali ha avuto come effetto l’emergere netto del passo più rapido di paesi come la Germania e gli Stati Uniti nell’emisfero occidentale e di Cina e India in quello orientale.
Il fenomeno diventerà più evidente nei prossimi anni ma è già abbastanza chiaro. L’Italia, ancora una volta, è stato l’anello debole del sistema capitalistico occidentale proprio per l’imperfetta modernizzazione che ne ha caratterizzato la storia nel lungo periodo repubblicano ed oggi ne paghiamo le dure e amare conseguenze.
La terza ragione che è necessario indicare è la profonda crisi morale e civile che ha caratterizzato l’ultimo ventennio a causa dell’incapacità delle nostre classi dirigenti di rinnovarsi e portare sulla scena persone oneste e competenti.
Questo è avvenuto con maggior evidenza nella parte conservatrice e reazionaria dell’orizzonte politico ma, di fatto, è accaduto in tutto lo schieramento, anche nella sinistra.
La fine delle vecchie ideologie generali, che hanno avuto luogo essenzialmente con la caduta del comunismo sovietico alla fine degli anni ottanta del Novecento, ha segnato in Italia forme di smarrimento e di incertezza politica  che non si sono esaurite e che portano, ancora oggi, all’emergere di leader, a destra come a sinistra, che privilegiano di gran lungo la tattica rispetto alla strategia politica.
Questo modo di procedere ha favorito, a sua volta,  il grande successo del populismo (di cui Berlusconi è stato l’assoluto protagonista) ma che è tuttora presente anche in altre forze politiche del centro-destra, come del centro-sinistra.
Questo aspetto deve esser superato se vogliamo ritornare a una democrazia moderna come è quella invano disegnata fin dal 1948 nella nostra costituzione repubblicana.
Qualcuno dirà che questo potrà avvenire con le prossime elezioni politiche generali previste per il prossimo anno. Ma io conservo al riguardo alcuni dubbi che elenco in maniera sintetica: come potremo avere una classe politica diversa se i partiti non diventeranno di nuovo centri di elaborazione culturale e politica, come sono stati nei primi vent’anni dell’Italia repubblicana? E come potrà avvenire un simile mutamento se i partiti continueranno a scegliere i propri candidati alle assemblee elettive sulla base della docilità e sottomissione ai capi piuttosto che su quella del merito e della competenza culturale degli individui?
A questi interrogativi che ho fatto in molte occasioni alla classe politica attuale non ho ricevuto finora risposte chiare e soddisfacenti e in mancanza di esse sarà molto difficile sperare che le cose cambino e si arrivi a risolvere la crisi morale e culturale che oggi, più che mai, attanaglia l’Italia. 


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