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La prescrizione e le leggi ad personam di Berlusconi
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di Nicola Tranfaglia

Ma quello che è stato riconosciuto come il corruttore, cioè il cavaliere di Arcore, non viene condannato perché una legge che egli stesso ha fatto approvare come presidente del Consiglio, la cosiddetta legge Cirielli, che ha ridotto la prescrizione per un reato molto grave come la corruzione in atti giudiziari dai quindici ai dieci anni e per quindici giorni la pronuncia milanese ha superato i dieci anni previsti.
Naturalmente l'imputato Silvio Berlusconi, come ha ricordato il segretario del partito democratico, potrebbe rinunciare alla prescrizione e in questo modo (ma vedremo se è così, con sicurezza, soltanto quando i giudici scriveranno le motivazioni della sentenza) andrebbe incontro al merito della pronuncia e potrebbe esser condannato per la corruzione dell'avvocato.
Ma che questo possa avvenire è del tutto escluso, giacché quattro anni di processo che hanno preceduto la pronuncia di ieri hanno mostrato con chiarezza, fino al tentativo di ricusazione dei giudici respinto dalla Corte di Appello di Milano, che l'imputato ha usato in tutti i modi i suoi difensori per rinviare più che poteva la decisione del tribunale ed è di continuo fuggito dal processo piuttosto che affrontarlo a viso aperto come la questione chiedeva.
Ci troviamo dunque ancora una volta di fronte a un imprenditore - politico che adopera ogni mezzo, a cominciare da quelli apertamente illeciti per condurre i suoi affari (come è stato dimostrato sia nei rapporti con la guardia di finanza sia nella gestione del contenzioso con altre società televisive e con lo Stato) e, se può, utilizza tutte le leggi ad personam o ad aziendam approvate dal parlamento italiano nel lungo ventennio berlusconiano per sfuggire ai giudici ed evitare, grazie alla prescrizione, condanne per reati che riguardano reati di frode, di evasione del Fisco o peggio ancora i tentativi di corrompere i funzionari dello Stato o i giudici chiamati ad intervenire con un processo contro chi non osserva le leggi dello Stato.
Il caso Mills è per molti aspetti esemplare, non riguarda la vita privata ma quella pubblica dell'imprenditore-ex presidente del Consiglio. Se disponessimo ancora di un'opinione pubblica pluralista e di giornali in grado di intervenire con chiarezza su gravi questioni di moralità pubblica e privata forse si potrebbe partire proprio dal caso milanese per spingere gli italiani a chiedere con forza alle classi dirigenti italiane di espellere quei politici che mostrano di non voler osservare né i principi costituzionali né le leggi fondamentali dello Stato.
Dei troppi politici che, come appare da molti casi recenti, continuano a usare con disinvoltura il denaro e la corruzione per condurre i propri affari, a volte leciti e troppo spesso illeciti.
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