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di Andrea Leccese
Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur. Così si lamentavano gli ambasciatori di Sagunto, durante l’assedio dei Cartaginesi. A Roma si discuteva inutilmente, mentre la città veniva rasa al suolo da Annibale. Nel Giardino d’Europa, mentre siamo tutti impegnati in appassionate discussioni sulla pericolosità sociale dei lavavetri al semaforo o sulla campagna acquisti del Milan, si vocifera che taluni insigni giuristi siano alacremente intenti a confezionare una maleodorante “riforma” della giustizia. Mentre si parla di gossip, lo scempio è alle porte. Certi guastafeste ci informano che si prepara una norma che non permetterà più al pubblico ministero di iniziare l’inchiesta di propria iniziativa, senza un rapporto della polizia giudiziaria. Insomma, se può risultare troppo sgarbato abolire l’obbligatorietà dell’azione penale e cancellare l’indipendenza del pubblico ministero, si sceglie la via indiretta, meno vistosa ma altrettanto efficace, di affidare le indagini alla polizia, diretta dal potere esecutivo. Le prove saranno raccolte dai cervelli polizieschi sotto l’occhio vigile del governo, mentre il magistrato si trasformerà col tempo nell’avvocato dell’accusa. Il tutto senza troppo clamore, con qualche ritocco appena visibile. Se l’art. 109 Cost. («l’autorità giudiziaria dispone direttamente» della polizia giudiziaria) può sembrare d’intralcio, basta toglierselo dai piedi. A chi giova? Non certo ai poveri cristi, che continueranno ad essere sanzionati con punizioni esemplari. La norma sarà certamente gradita a ricchi, boiardi e confratelli, che già adesso la fanno franca. Piove sempre sul bagnato! “La legge è uguale per tutti”. Quando la norma sarà approvata, speriamo almeno di non leggere più nei tribunali questa odiosa menzogna. Molti secoli fa Plutarco scriveva che le leggi sono come le ragnatele, perché imbrigliano i deboli, ma vengono spezzate dai potenti. La metafora, triste a dirsi, è di sconvolgente attualità.
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