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Articolo 21 - Editoriali
Il voto? Questa è l'Italia, bellezza"
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di Fernando Cancedda

Roma, 19 giugno – Mentre nei circoli e nelle sezioni del partito democratico e della sinistra si discute ancora sui dati elettorali nel tentativo di precisare i motivi della sconfitta, ecco che un’indagine del Censis offre implicitamente la risposta più ovvia: le elezioni sono andate così perché nell’italia di oggi non potevano andare diversamente.

Nell’Italia di oggi la televisione resta il principale medium utilizzato dai cittadini per formarsi un’opinione sull’offerta politica. In questa campagna elettorale per le elezioni europee il 69,3% degli elettori, sette italiani su dieci, si è basato principalmente su notizie, commenti e omissioni aministrati dal piccolo schermo, in particolare attraverso i tg. La percentuale sale al 76% tra i meno istruiti, al 78,7% tra i pensionati, al 74% tra le casalinghe.

Al secondo posto (indicate dal 30% degli elettori) ancora le TV, con i programmi di approfondimento come “Porta a porta”, “Matrix”, “Ballarò” e altri, seguiti più che altro da cittadini in età matura o avanzata, con un grado maggiore di istruzione e residenti nelle città con più di centomila abitanti. I giornali di carta sono stati determinanti per un elettore su quattro, per un elettore su venti la radio.

Nè Internet nè le manifestazioni di propaganda dei partiti (volantini, manifesti,ecc.) avrebbero avuto importanza decisiva per il 95 per cento degli italiani. E il passaparola? Il confronto con familiari ed amici è importante per il 19% del totale degli elettori. La percentuale sale al 26% per i giovani da 18 a 29 anni, al 22,2% per i residenti nel mezzogiorno, al 22,5% nei piccoli centri.

Questi i dati raccolti dal Censis, noto e prestigioso Istituto di ricerca, ai quali ognuno darà il valore che crede. Chi li prende per buoni dovrà però dedurne che determinante per la scelta della grande maggioranza degli elettori è stato il grado di autonomia e imparzialità dimostrato dai telegiornali, in particolare dalle edizioni di prima serata, di gran lunga le più seguite.

Qualunque sia il criterio scelto per questo giudizio, propongo, a titolo indicativo i dati di ascolto auditel dell’8 giugno scorso per le fasce di prima serata (ore 20,30/22,30). Quelli dei tg non variano di molto. D’altronde la scelta sul se e chi votare non dipende soltanto dall’informazione politica ma anche, potrei dire soprattutto, dai modelli culturali trasmessi con i “format” televisivi (fiction,quiz, reality ecc.) che rallegrano il dopocena degli italiani.

Canali televisivi

Pubblico

Share %

RAI 1

4.392.000

18,05

RAI 2

2.078.000

8,54

RAI 3

2.611.000

10,73

RAI digit

299.000

1,23

CAN 5

5.486.000

22,54

ITA 1

2.520.000

10,36

RETE 4

1.413.000

5,81

La 7

808.000

3,32

Altri canali terrestri

2.514.000

10,33

Canali satellitari

2.111.000

8,67

Che ci sia qualcosa di simile ad un mutamento antropologico nei nostri concittadini è suggerito dai risultati di una ricerca sulla “deregulation dei comportamenti” presentata giorni fa, il 16 luglio scorso, dal presidente del Censis Giuseppe de Rita. In particolare:

  • La centralità assunta dalla “libertà di essere se stessi” porta alla legittimazione di comportamenti di devianza che in passato erano stigmatizzati dal “buonismo” e dal “politically correct”.
  • La tendenza è a dare libero sfogo alla “paura istintuale verso l’altro” (immigrato e non solo) sempre più percepito come una minaccia alla libera espressione di sé.
  • Vince chi riesce a dare l’impressione di “dire le cose come stanno” ( anche se mentendo o non avendone conoscenza e competenza – aggiungo io – come del resto non ne hanno, grazie al controllo esercitato sui media, i suoi sostenitori).

Così si spiega, secondo il Censis, la popolarità di un presidente del consiglio “che ha la missione di esaltare se stesso” e al quale “tutto è permesso e consentito perché il valore non è il comportamento in sé ma l’essere se stessi, indipendentemente da tutto il resto: di fronte a questo non ci sono regole familiari o di codice penale che tengano”.

Le indagini sociologiche tendono a volte, per ragioni divulgative, a sforare nello schematismo. Qualche forzatura è sempre possibile, ma la nostra esperienza quotidiana conferma che quelle del professor De Rita e dei suoi collaboratori sono considerazioni fondate.

Permettete allora anche a me di provare a “dire le cose come stanno”. Quella descritta e prefigurata nei comizi di Walter Veltroni durante la campagna elettorale dello scorso anno e soprattutto nel finale di piazza del Popolo a Roma era un’Italia ideale, per ora decisamente minoritaria nel Bel Paese. L’Italia vera è ancora, e rischia di diventare sempre più, una finta democrazia, dove “il potere procede dall’alto e condiziona coloro che sono chiamati, dal basso, ad acconsentire”. Questo scrive oggi su “Repubblica” il presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky, ricordandoci che “la contesa, sul terreno della demagogia, non può avere storia. Non solo Berlusconi non ha rivali nel sapersi indirizzare al (suo) popolo e a interpretare le pulsioni elementari con argomenti e atteggiamenti esemplari, idonei a metterlo in movimento al suo seguito, ma dispone anche di strumenti persuasivi che nessuno può neanche lontanamente sognarsi”.

Per tutto questo i dirigenti del Partito Democratico come di tutte le altre forze politiche di opposizione, soprattutto quelli che oggi appaiono più impegnati a contendersi l’egemonia interna alle loro organizzazioni, farebbero meglio a porsi come obbiettivo prioritario, prima che sia troppo tardi, quello di garantire ai cittadini gli strumenti di conoscenza e partecipazione indispensabili per combattere i parassiti che, dall’interno, svuotano la democrazia di ogni reale significato.

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