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Articolo 21 - Editoriali
Intellettuali, nuovi Arlecchini
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di Oliviero Beha

Da I NUOVI MOSTRI di Oliviero Beha
Chiarelettere Editore, Milano 2009

Intellettuali, nuovi Arlecchini

Quale? Gli intellettuali oggi, nelle loro varie forme a partire dalla ormai ultrasperimentata fusione fredda con la politica, sono diventati sulla scena italiana dei «nuovi mostri», avendo modificato in profondità la loro natura fino a trasformarsi all’interno di un’intiera classe dirigente in ogm, organismi geneticamente modificati (cfr. Italiopoli). Oppure dei «nuovi Arlecchini», per antonomasia servitori di due padroni. Lo so, la prima e più contundente lettura vi fa pensare a Berlusconi e alla sua sedicente controparte, quindi a intellettuali che servono entrambi secondo il proprio vantaggio del momento. C’è anche questo, naturalmente. Ma non solo. Sono Arlecchini perché da un lato servono il potere mischiato eppur complementare della politica italiana o meglio del Comitato d’affari permanente come essa è diventata nella sua forma politicante ed esercente priva di ideali e che chiamiamo così per inerzia definitoria; dall’altro stanno servendo e confermando l’idea, nel magma sociale contemporaneo, che di intellettuali non ci sia più bisogno, che siano servi più o meno (ma forse più) come tutti, che la morte della Ragione li veda becchini a cottimo e non spartani alle Termopili o semplicemente individui e categoria consapevoli di sé e del loro ruolo. Un po’ come i medici che tradiscono il giuramento di Ippocrate, gli intellettuali generici, ma troppo spesso anche quelli che vengono classificati come «specialistici», hanno tradito la loro funzione e si sono consegnati a una specie di lobbismo di Ipocrita: uno che non dice quello che pensa, uno che alla lettera, etimologicamente, «spiega doppiamente, ambiguamente, falsamente» la realtà come gli attori nella Grecia antica che recitavano questa parte. Uno che quindi quasi non dice più e ormai addirittura non pensa più, proprio per paura che qualche scherzo della natura faccia apparire che cosa sta pensando davvero sulla sua fronte (e suo malgrado) come una scritta talmudica, o l’sms sul display di un cellulare. Un rischio che non possono permettersi di correre, pena un arresto di carriera e di denaro. Siamo di fronte al devastante fenomeno del karaoke degli intellettuali, laddove in giapponese karaoke è alla lettera «orchestra vuota» e invece da noi vuoto è il significato delle parole e delle posizioni di chi ripete canzoni altrui a orecchio, per ignavia o convenienza. Servendo. Per non ingenerare equivoci, quando ho precisato il mio punto di vista dalla parte della Ragione o di un’idea della Ragione di cui in pillole parleremo qui, mentre l’irragio- nevolezza ci sta perdendo, chiamandolo il punto di vista della bara intendevo e intendo nient’altro che questo: un punto di vista a se stante, disinteressato, cioè senza interessi da difendere a priori che non siano quelli di una ripresa complessiva del pensiero e della libertà di esprimerlo in un Paese così malridotto. Tanto da rischiare appunto la bara. E appunto che cosa c’è di meno interessato della bara, se non vogliamo infierire sugli sconci della nostra quotidianità trattando letteralmente e non metaforicamente il cosiddetto «racket dei cimiteri»? E non è forse la bara la metafora di uno che parla o scrive senza autocensure dopo tonnellate di censura perché non ha ormai «niente da perdere»?  
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