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Articolo 21 - Editoriali
La Gheddafi-Berlusconi connection
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di Valter Vecellio

Ci voleva il britannico “The Guardian”, per gettare uno squarcio sull’inquietante intreccio affaristico che sembra legare il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi al dittatore libico Gheddafi. “La Gheddafi-Berlusconi connection”, si intitola, significativamente, l’inchiesta del “Guardian”: in sintesi: ci sarebbe qualcosa di più dei reciproci vantaggi politici, e davvero occorre stare attenti a “quei due”, dal momento che esisterebbe “un altamente discutibile comune interesse negli affari”. Il “Guardian”, in particolare, avrebbe scavato dentro una serie di operazioni finanziarie, ed accusa esplicitamente Berlusconi di un "decisamente sconcertante conflitto d'interessi, da aggiungere ai tanti che egli ha già in Italia".
   Notizia ghiotta, e sarà per questo che ne abbiamo letto solo su “La Repubblica”, con una corrispondenza da Londra? Una corrispondenza con un significativo inciso: “In realtà le notizie in questione erano già circolate nel nostro paese, anche se nessun organo d'informazione le aveva trattate con particolare attenzione, mentre secondo il “Guardian” si tratta di una faccenda che "meriterebbe la prima pagina in qualsiasi giornale europeo”.
   Per capire: lo scoop del “Guardian” è costituito da notizie che nell’ambiente sono note, almeno nelle loro linee generali; tuttavia nessuno ne ha parlato o scritto, e “Repubblica”  dedica alla vicenda un articolo su quattro colonne, ma solo dopo che il “Guardian” ne ha scritto. Da lettore forse un po’ sempliciotto qual è chi scrive, c’è qualcosa che forse andrebbe chiarito.
   Ad ogni modo “Il Guardian” riferisce che nel giugno scorso, come riportato "da una piccola agenzia di stampa italiana, Radiocor", una società libica chiamata Lafitrade ha acquisito il 10 per cento della Quinta Comunication, una compagnia di produzione cinematografica fondata da Tarak Ben Ammar, storico socio di Berlusconi. Lafitrade è controllata da Lafico, il braccio d'investimenti della famiglia Gheddafi. L'altro partner di Ben Ammar nella Quinta Comunication è, "con circa il 22 per cento" del capitale scrive il “Guardian”, una società registrata in Lussemburgo di proprietà della Fininvest, la finanziaria di Berlusconi.
   Non solo:Quinta Comunication e Mediaste possiedono ciascuna il 25 per cento di una nuova televisione via satellite araba, la “Nessma Tv”, che opera anche in Libia, sulla quale Gheddafi potrebbe esercitare influenza attraverso la quota che ha rilevato nella Quinta Comunication. A “Repubblica”, Ben Ammar spiega che “Nessma Tv” è di proprietà sua, al 25 per cento, di Mediaset per un altro 25, di due partner tunisini per il restante 50. L'ingresso di Gheddafi in Quinta Comunication, spiega, è avvenuto nell'ambito di un aumento di capitale ma solo perché interessato alla produzione di film sul mondo arabo. Quindi solo progetti cinematografici. L'aumento di capitale non è ancora concluso, ma al termine dell'operazione Gheddafi dovrebbe avere una quota del 10 per cento.
   Come sottolinea il “Guardian” il legame d'affari tra Gheddafi e Berlusconi è un evidente conflitto d'interessi, e l’operato del Berlusconi politico acquista una diversa prospettiva e spiegazione: dai negoziati sull’immigrazione, alle compensazioni coloniali, dagli investimenti alla visita di Berlusconi a Tripoli alla vigilia delle celebrazioni per il quarantennale della presa del potere da parte del colonnello: tutto ciò acquista una nuova luce se "i due leader sono connessi da qualcosa di più della convenienza politica”.
   Già il 15 settembre scorso Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Jimmy Carter, e ascoltato consigliere di Barack Obama, parlando della Russia di Putin non aveva risparmiato un pesante sarcasmo su Berlusconi: «Putin sta seguendo gli esempi di Stalin e di Krusciov. Chiunque conosca un po’ la Russia se ne rende conto. Eccetto Silvio Berlusconi».
   Alla domanda su cosa pensi del legame tra Putin e Berlusconi, Brzezinski risponde: «È simile a quello che Putin ha con l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder». Schroeder lavora per la Gazprom, osservò assennatamente l’intervistatore, Maurizio Molinari de “La Stampa”: «Intende dire che Berlusconi fa affari con Putin?» «La risposta che ho appena dato si spiega da sola», rispose Brzezomski, che più chiaro non poteva essere.
  Dunque, cominciano finalmente a delinearsi compiutamente i contorni della stupefacente “operazione” di recupero del dittatore libico Gheddafi. Vale la pena di ricordare le rivelazioni del britannico “The Observer”, secondo il quale proprio nel corso del G8 dell’Aquila dello scorso luglio si sarebbero definiti gli accordi per il rilascio del terrorista Adbel Basset al-Megrahi, gettano sull’intera vicenda lasciano intravedere inediti, ancora oscuri e inquietanti accordi.
   E’ legittimo ora chiedersi cosa sappia, e quale parte nella vicenda abbia svolto Berlusconi e il governo italiano; si cominciano a comprendere le ragioni del blando atteggiamento italiano di fronte alle “stravaganze” di Gheddafi nel corso delle sue visite in Italia, e la condiscendenza che gli è stata tributata; l’episodio Lockerbie e gli “affari”, in senso letterale, di cui si apprende in questi giorni, sono una “coda” di un’ “operazione” che viene da lontano: quando il dittatore libico Gheddafi, Berlusconi e l’ex premier britannico Tony Blair, svolsero un ruolo di primo piano – e di fattiva complicità con l’ex presidente americano George W. Bush – nel far fallire i tentativi ormai giunti in dirittura d’arrivo per scongiurare la seconda guerra con l’Irak e garantire al dittatore iracheno Saddam l’esilio, come da tempo ci ricordano Marco Pannella e i radicali. Da allora Gheddafi è stato accolto nel “salotto buono” della comunità internazionale, e gli si lascia svolgere un ruolo di primo piano nell’ambito della Comunità africana.
   E’ tempo, finalmente, di fare chiarezza sugli ambigui rapporti tra Italia e Libia. Rapporti ambigui che vengono da lontano: non dimentichiamo l’impunità concessa ai killer di Gheddafi che uccidevano in Italia i dissidenti libici, e impuniti venivano rimpatriati; non dimentichiamo i corsi di addestramento a piloti libici in Italia, e da parte di addestratori italiani in Libia, anche negli anni in cui massima era la tensione tra la Libia e la comunità occidentale. Ma oggi si è raggiunto il vertice di questa ambiguità e di questa ipocrisia, costituito dalle fotografie che immortalano in abbracci fraterni Gheddafi e Berlusconi.
   La si può guardare dalla parte che si preferisce, ma questa storia della liberazione di Abdelbaset al-Megrahi grida vendetta. E’ stato accolto come un eroe: Gheddafi gli ha spalancato le telecamere della TV di Stato; il figlio di Gheddafi, Seif al-Islam, ha dichiarato ai giornalisti che la rimessa in libertà dell’ex agente segreto fa parte dell’accordo commerciale siglato tra Libia e British Petroleum - con la benedizione dell’allora primo ministro Tony Blair...
    E’ l’ennesimo esempio dell’ipocrisia occidentale: gli inglesi – e in particolare Brown – ne escono con le ossa rotte, ma non c’è nessun paese occidentale che possa dire di avere le carte in regola: gli Stati Uniti, che oggi mostrano il volto irato dell’indignazione, con Gheddafi hanno sempre fatto affari: anche quando la tensione tra i due paesi era massima, le compagnie petrolifere americane hanno continuato a fare, imperterrite, affari. E per restare in Europa, né Francia, né Germania, né Spagna, né Italia, o altri paesi possono dare lezioni: quando era il caso abbiamo chiuso ben volentieri un occhio, se non entrambi, con paesi come la Russia di Putin, l’Iran, la Siria, e via dicendo.
    E’ tempo di chiarire che tipo di politica estera sta conducendo l’ENI; è tempo che la Farnesina chiarisca e spieghi la portata reale degli accordi stipulati con Tripoli; è tempo che il Parlamento ne sia informato e che l’opposizione finalmente, esiga di sapere come stanno le cose, ed esca dalle infelici ambiguità che da sempre lo caratterizzano.
   E’ augurabile infine, che alla ripresa dei lavori parlamentari l’opposizione chieda con determinazione che la questione sia affrontata e discussa in un dibattito parlamentare trasmesso in diretta dalle reti della televisione pubblica.       

                                                                                                                

 

 

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