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Articolo 21 - Editoriali
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Un lavoro che sempre più spesso, e silenziosamente, uccide
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di Simona Silvestri

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Un lavoro che sempre più spesso, e silenziosamente, uccide.
Il dato preoccupante emerge da un rapporto elaborato dall'INAS-CISL, secondo il quale ogni anno sarebbero addirittura dieci mila i morti sul lavoro. Un numero altissimo ma sottostimato, che non considera gli effetti delle malattie professionali. Se infatti la maggior parte degli incidenti è spesso dovuta allo sprezzo, da parte delle proprietà, per tutte le più elementari norme di sicurezza, e ai macchinari obsoleti e mai revisionati, bisogna considerare anche gli effetti “secondari” dovuti allo stretto contatto con i materiali cancerogeni cui sono costretti i lavoratori ogni giorno. Numeri difficilmente calcolabili, che spesso non sono considerati. E per una Marlane che fa notizia, tanti altri casi rimangono nell’ombra, come quello della Montefibre di Pallanza.
Alla Montefibre si producevano nylon e rayon. Un tempo la fabbrica fu uno dei poli di eccellenza della Provincia del Verbano Cusio Ossola, prima della crisi che costrinse prima a pesanti tagli del personale e in seguito alla vendita dello stabilimento. Di sicuro prima che si scoprisse che molte delle persone che lavoravano in quella fabbrica si erano ammalate di mesotelioma alla pleura, una neoplasia molto aggressiva che colpisce chi è costretto al contatto con le fibre dell’amianto e dei suoi derivati. Ogni giorno, infatti, gli operai della Montefibre si trovavano a lavorare in ambienti saturi di queste polveri, senza mascherine o caschi termoventilati, e senza che nessuno si fosse mai preoccupato di installare all’interno dello stabilimento sistemi di captazione delle polveri cancerogene.
Una mancanza frutto della gravissima negligenza da parte dei vertici della Montefibre, ma non punibile, come stabilito dalla sentenza in primo grado pronunciata il 1° giugno 2007 dal Giudice del Tribunale di Verbania. Tutti assolti “per non aver commesso il fatto in quanto per nessuno può dirsi certo che il comportamento addebitato sia stato la causa della morte o dell’accorciamento della vita degli operai”: uno schiaffo nei confronti delle vittime e dei loro familiari. L’esito del primo processo venne però ribaltato il 25 marzo 2009, quando la Corte di appello di Torino emise in appello una sentenza di condanna nei confronti dei medesimi imputati, tra i quali l’ex presidente dell’Eni Giorgio Mazzanti, Mario Valeri Manera del Banco Ambrosiano e Alberto Grandi, ex amministratore delegato della Montedison.
Il 6 ottobre scorso a Verbania si è aperta una nuova fase del processo, il cosiddetto Montefibre Bis, che questa volta vedrà anche la regione Piemonte costituirsi parte civile contro 16 tra dirigenti e amministratori accusati di lesioni personali e omicidio colposo per la morte di 15 dipendenti, e per la malattia professionale di altri 10 operai, esposti all'amianto utilizzato per la coibentazione di tubature e l'isolamento degli impianti dello stabilimento di Pallanza. I fatti contestati si riferiscono al periodo intercorso tra il 1962 e il 1988, mentre i decessi e le malattie tra il 2002 e il 2008.
Al processo, che riprenderà il 28 ottobre, si costituiranno parte civile anche il Comune di Verbania, la Provincia e i sindacati.

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