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di Paolo Pacifici*
Dopo tre anni esatti dalla tragedia che vide la morte di quattro lavoratori che stavano faticando un sabato mattina per un pezzo di pane e che provocò un enorme disastro ambientale sconvolgendo l’Umbria e l’Italia intera, ogni parola da dire, ogni frase scritta, ogni dichiarazione rischia di assumere i toni retorici e ridondanti di cose già dette.
Dopo tre anni durante i quali, ogni giorno, abbiamo chiesto verità e giustizia e un processo rapido che potesse darci risposte su quanto accaduto, oggi ci troviamo difronte alla proposta del Governo Berlusconi del disegno di legge sul processo breve che porterà, inesorabilmente, alla chiusura di vicende simili a questa senza l’individuazione di responsabilità e colpevoli. Contemporaneamente, impugnazioni, ricorsi, tentativi di ricusazione del giudice naturale, hanno comportato e comportano ancora ulteriori allungamenti dei tempi.
Da tre anni esprimiamo fiducia nella magistratura che finora ha contribuito a costruire un percorso per fare chiarezza sulla vicenda al fine di accertare le responsabilità, ma mentre noi confidavamo nel lavoro dei giudici, alte rappresentanze del nostro Governo li hanno definiti una “metastasi della democrazia” ed hanno affermato che “fare i giudici è da disturbati mentali”.
In un contesto di questo genere, a tratti sfiancante e in alcuni casi forse anche scoraggiante, continuiamo nel nostro impegno in una battaglia di civiltà, per promuovere la cultura della prevenzione e della sicurezza sui luoghi di lavoro. Lo abbiamo fatto e continueremo comunque a farlo con la nostra flebile voce di una piccola comunità lontana dai grandi riflettori dell’attenzione mediatica, ma consapevoli di essere divenuti un simbolo della sciagura dei nostri tempi rappresentata dagli incidenti sul lavoro.
Ci conforta nel frattempo il lavoro svolto dalla magistratura di Spoleto, che ha avviato l’iter giudiziario, stabilendo un calendario serrato rispetto alle udienze e rassicurandoci relativamente ai tentativi di diluire in tempi biblici il processo.
Intanto vogliamo dimostrare quanto abbiamo fatto finora e come proseguire nel nostro impegno.
Oggi, insieme ad altri comuni che hanno vissuto lutti simili al nostro, a partire da Torino, ci facciamo promotori della creazione di una rete di istituzioni, associazioni e gruppi di cittadini che si impegnino a costruire dei presidi nei territori a supporto e a tutela dei lavoratori e, contemporaneamente, insieme a intellettuali, esponenti del mondo della cultura, dell’arte, della letteratura, del cinema, lanciamo un appello per far sì che sia crescente l’impegno a nuove forme di sensibilizzazione nei confronti di tutti i cittadini e delle giovani generazioni in particolare, affinché la cultura della sicurezza e del rispetto dell’individuo e del primato dell’uomo sul profitto prevalga e diventi finalmente patrimonio collettivo. Vogliamo che tragedie come quella di Campello non avvengano mai più.
*Sindaco di Campello sul Clitunno
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