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Articolo 21 - Editoriali
Il Natale di chi perde il lavoro
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di Elisabetta Reguitti*

Il natale degli invisibili del lavoro è passato. Il natale di quelli, tanti, che vivono con la spada di Damocle della disoccupazione sulla testa non ha portato buone notizie. Uomini e donne che presidiano le proprie fabbriche, lavoratori in cassa integrazione consapevoli che  con lo scattare dell’anno nuovo entreranno a fare parte dell’esercito dei disoccupati. Eppure nessuna trasmissione di prima serata penserà di raccontare le loro storie. Eppure ce ne sarebbero di cose da raccontare. Di multinazionali, come la Nokia Siemens Network, gruppo Finlandese, che ha confermato  la sua  decisione di dismettere il settore della ricerca  e, quindi, di volere cedere - non si sa a chi -  il sito di Cinisello, lavoratori compresi. Ingegneri in svendita. E’ così che si sentono i 250  dipendenti del gruppo  la maggior parte dei quali oggi  è  in cassa integrazione. Figure altamente specializzate per le  quali il futuro prossimo è davvero incerto. Cristina Trevisson e il marito Paolo ne sono un esempio.  Entrambi diplomati con il massimo dei voti, laurea in scienze dell’ Informazione all’ Università di Milano conseguita con la  lode;  entrati entrambi  nell’ azienda di Cinisello ma da un anno costretti a delle scelte. “Avevamo un mutuo per la casa piuttosto oneroso ma con il rischio di perdere il posto di lavoro mio marito ha accettato l’ incentivo all’ esodo proposto da Nokia Siemens  e da gennaio sarà disoccupato. Io invece, come gli altri colleghi, spero che qualcuno acquisti la nostra azienda”. Cristina  attualmente ricopre un ruolo di responsabilità come coordinatrice di uno dei settori ricerca e sviluppo. Nel dettaglio è responsabile degli applicativi per la gestione dei nodi della rete Gsm.  Lavora in Nokia Siemens dal 1994 e per solidarietà nei confronti dei  suoi colleghi ha scelto di accettare la cassa integrazione a rotazione. “Mi è sembrata una decisione naturale” commenta spiegando inoltre  di ritenersi fortunata perché il suo stipendio in questi mesi è stato abbastanza cospicuo grazie alle ferie di cui non aveva usufruito fino ad oggi. “Sono sempre stata una lavoratrice indefessa e quindi avevo accumulato parecchi giorni di lavoro che mi sono ritrovata nella busta paga. Diversamente sarebbe stata davvero dura”. A peggiorare la situazione familiare di Cristina e Paolo, tuttavia,  non è solo l’incertezza lavorativa . “Abbiamo un figlio di 12 anni che è sempre andato piuttosto bene a scuola. Da qualche mese però vedendo la nostra situazione ha  cominciato a rendere meno a scuola, ad essere più svogliato nello studio.  Quando gli abbiamo chiesto il perché ci ha risposto che tanto  studiare come abbiamo fatto noi non è servito a garantire una stabilità lavorativa”. Chi non se la passa certo meglio sono gli operai della Fiat di Termini Imerese che  nelle prossime settimane  decideranno quali saranno le  azioni di lotta per difendere e  mantenere attivo il “loro” insediamento produttivo dopo  la presentazione del piano industriale Fiat che  prevede lo stop alla produzione di auto in Sicilia e una possibile messa in vendita dello stabilimento che riaprirà i cancelli in 7 gennaio prossimo. A sostegno dei lavoratori,  proprio nel giorno di natale, si è schierato anche l’arciprete di Termini Imerese don Francesco Anfuso che nella sua omelia ha detto: “ Qualcuno ha calpestato la dignità di migliaia di famiglie e l'ha fatto in modo violento. È triste sentire come sono stati  trattati gli operai che si trovavano a Roma per manifestare" riferendosi alle parole pronunciate dall'amministratore delegato  della Fiat, Sergio Marchionne che a  Palazzo Chigi durante la presentazione del piano industriale aveva affermato  che “ la Sicilia dovrebbe spostarsi accanto alla Lombardia per continuare a produrre auto”.  Parole che non sono proprio piaciute all’intera collettività e soprattutto ai dipendenti dello stabilimento minacciato dalla prospettiva industriale di una definitiva chiusura. Calogero Cuccia è uno di loro.  Ogni giorno percorre 80 chilometri per andare e tornare dalla Fiat di Termini  la fabbrica nella quale lavora dal 1988. Da un anno però sente il peso dell’incertezza per il suo futuro come per quello degli altri 1400 dipendenti,  fino al 7 gennaio in cassa integrazione ordinaria,   che vedono sempre più nero. “Quando faccio il primo turno mi alzo alle 4 di mattina  mentre quando faccio il secondo rientro a casa alle 23. Spesso non vedo neppure i miei figli che stanno già  dormendo. Stare alla catena di montaggio non è un lavoro leggero. Ve lo posso assicurare. Mi ci sono abituato e con il passare degli anni si è abituata pure la mia famiglia. Quello a cui però non ci si abitua e l’idea di perdere  il lavoro”. Calogero è lapidario. Racconta dei due giorni trascorsi  a manifestare a Roma insieme ai suoi compagni. Racconta con orgoglio che non esiste altro stabilimento al mondo dal quale esca la “Ypsilon” e spiega come i suoi tre figli ( 12, 13 e 17 anni) in questo natale fossero disposti pure  a rinunciare ai regali. “Hanno consapevolezza di quello che stiamo vivendo anche se  io e mia moglie cerchiamo di dire che le cose cambieranno e in meglio”. Difficile però crederci fino in fondo alla luce, soprattutto,  del piano industriale presentato dal gruppo Fiat proprio alla vigilia di natale. “Il 7 gennaio termineranno le settimane di cassa integrazione, dovremmo quindi tornare al lavoro  ma come possiamo riprendere  come se niente fosse sapendo che la nostra proprietà ha annunciato di voler chiudere in via definitiva lo stabilimento? Io mi sono sempre considerato uno fortunato nella vita  perché in una regione come la Sicilia avere un lavoro fisso significava avere vinto la lotteria. Oggi cosa devo pensare?”.  Nei prossimi giorni si riuniranno i delegati sindacali dello stabilimento. Poi verrà organizzata un’assemblea di tutti i lavoratori. L’unica cosa certa è che le tute blu di Termini Imerese difenderanno la loro fabbrica. Costi quel che costi.  * Il Fatto quotidiano
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