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Articolo 21 - Editoriali
Acquasparta: preziosa occasione di confronto
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di Paolo Beni*

L’appuntamento promosso da articolo 21 ad Acquasparta è una preziosa occasione di confronto per quanti intendono impegnarsi a costruire un argine alla deriva anticostituzionale. Tutti gli indicatori della situazione italiana ci restituiscono la fotografia di un Paese che sta regredendo, sul piano economico, sociale, culturale, istituzionale. Di fronte al precipitare dell’emergenza sociale, il governo propone risposte risibili, che finiscono per aggravare gli squilibri incrinando il presupposto costituzionale dell’uguaglianza dei diritti come condizione essenziale della cittadinanza.

 

Precarietà delle condizioni di vita, insicurezza e tensioni producono il deterioramento dei legami sociali e un imbarbarimento culturale che si esprime anche in nuove forme di razzismo. Un Paese sfiduciato e ripiegato su se stesso, in balia di un senso comune frammentato e impoverito di valori, non ha la forza di riconoscersi in un progetto comune, di animare lo spazio pubblico ed esercitare la cittadinanza, diventando facile preda del populismo autoritario.

 

Il disegno di trasformare in senso autoritario la nostra democrazia è ormai evidente nella messa in mora delle rappresentanze sociali e degli spazi di partecipazione, nello svuotamento del ruolo del Parlamento, nell’abuso della decretazione d’urgenza, nel ricorso alle leggi ad personam, nella volontà di sottoporre il potere giudiziario al controllo dell’esecutivo. Il Paese è esposto alle tentazioni totalitarie di un capo di governo insofferente del confronto democratico, deciso a piegare le istituzioni al suo interesse privato e forzare gli equilibri fra i poteri dello Stato.

 

Il primo vulnus costituzionale sta proprio in quell’idea berlusconiana dell’investitura popolare del premier che è destinata a stravolgere il rapporto fra cittadini e istituzioni. E’ bene ricordare che la Costituzione non è ancora stata cambiata, che non è stato eletto nessun sovrano, che la volontà popolare dovrebbe esprimersi attraverso le assemblee elettive e la relazione dinamica e costante fra istituzioni e corpi intermedi della società.

 

Nel disegno autoritario della destra, un tassello determinante è rappresentato dall’attacco alla libera informazione. Oggi in Italia sono a rischio i diritti sanciti dall’articolo 21. Non c’è vera libertà d’informazione quando chi detiene il potere manifesta insofferenza nei confronti di qualsiasi critica e cerca di zittire con le intimidazioni le voci non gradite. E’ a rischio la libertà d’opinione quando un governo usa la televisione pubblica come strumento di propaganda al suo servizio. E’ a rischio la libertà di espressione quando una legge dello Stato, anziché contrastarle, favorisce le concentrazioni editoriali e strangola i media indipendenti. Non può esserci pluralismo quando un enorme potere economico, politico e mediatico si concentra nelle mani di un uomo solo.

 

Ma il problema dell’informazione va oltre le minacce al pluralismo. Preoccupa il clima che, sempre più, svilisce e mortifica il discorso pubblico: media usati come megafono della propaganda e non come strumenti per informare e favorire la circolazione delle idee; dibattiti in cui vale solo urlare più forte dell’avversario e non argomentare ciò che si dice; notiziari infarciti di gossip, risse di palazzo e cronaca nera, che non trovano spazio per parlare del Paese reale e delle sue esperienze virtuose. L’Italia delle pratiche di cittadinanza, solidarietà, inclusione sociale, non chiede solo di essere correttamente informata. Chiede di poter informare, prendere parola, rivendica l’accesso ai mezzi di informazione del servizio pubblico.

 

Non c’è solo da difendere la democrazia, ma da renderla effettiva, concretamente agita. A partire dalle pratiche sociali, deve maturare la consapevolezza dei limiti della democrazia rappresentativa e della necessità di allargare lo spazio della discussione pubblica sperimentando nuove modalità di democrazia partecipativa.

 

Serve un grande lavoro culturale. Non basta una percezione diffusa di malessere perché si determinino le condizioni di una reazione positiva che spinga il cambiamento. La gente ha bisogno di capire le ragioni del proprio disagio, individuare obbiettivi concreti per cui valga la pena di battersi, capire che la difesa dei propri diritti può stare dentro un disegno di futuro e un’altra visione di società in cui riconoscersi; ridare senso a una politica che si nutra di mobilitazione sociale e culturale, presa di coscienza, assunzione di responsabilità. Farlo non è possibile senza il concorso di una pluralità di culture e di attori sociali, senza ripartire dal basso, dai territori e dalle comunità locali.

 

*presidente Arci

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