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Articolo 21 - Editoriali
Da Acquasparta tra libertà di informazione e giustizia
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di Natalia Lombardo*

Pubblichiamo di seguito i contributi sulla tre giorni di Acquasparta realizzati da Natalia Lombardo per l'Unità. 

Natalia Lombardo
Inviata ad Acquasparta (Tr)

Una grande iniziativa della Federazione della stampa insieme all’Associazione nazionale magistrati, per la difesa “degli strumenti di controllo, contro il disegno di legge Alfano sulle intercettazioni, per il diritto ad informare”. E una  mobilitazione del mondo dell’informazione perché il successo del 3 ottobre a piazza del Popolo non cada nel nulla. Roberto Natale, presidente della Federazione della Stampa, ha lanciato queste due proposte ieri nella giornata conclusiva dell’assemblea nazionale di Articolo21 ad Acquasparta. Dal rischio che venga cancellato il diritto di cronaca a quello, ancora piu’ grave, che tante indagini che hanno permesso di individuare boss mafiosi e latitanti, ma anche “tanti colletti bianchi”, spiega il magistrato siciliano Antonio Ingoia, vengano impedite dai limiti alle intercettazioni, posti dal ddl Alfano.
Nel dibattito su Informazione e Giustizia moderato da Cinzia Dato, Nicola Tranfaglia ha segnalato l’obiettivo governativo di “una repubblica presidenziale” che cancella il ruolo del Parlamento e l’autonomia della magistratura. Da storico ha lamentato lo scarso interesse, anche nei giornali, verso l’istruzione e la ricerca. Secondo Natale va tutelato il diritto alla pubblicazione delle conversazioni intercettate quando “siano di interesse generale”, evitando particolari privati che sfociano nel voyeurismo.
Dall’intensa tre giorni nel bello e gelido paese medievale, la nascita di un “Osservatorio sulle notizie non date” è stata annunciata da Alessandra Mancuso del Tg1 e da Silvia Resta de La7, la cui inchiesta su “La trattativa” tra Stato e mafia fu censurata dal direttore Piroso, perché a fare da contraltare alle dichiarazioni del pentito Spatuzza non ci sarebbe stato il “contraddittorio” con Marcello Dell’Utri. Un importante lavoro mai visto. La giornalista, comunque, ha proposto di girare a L’Aquila un “documentario verità” con Articolo21.
Articolo21, con l’istancabile portavoce Beppe Giulietti e il collettivo di volontari, è riuscita davvero a creare quella “rete” di associazioni ed esperienze. Lo slogan è stato: “Riprendiamoci i fatti”, per fare luce sulle notizie nascoste. Un centinaio di interventi in tre giorni, dal racconto della lotta dei ricercatori dell’Ispra alla denuncia dei tagli per l’agenzia radiofonica Grt. E sabato sera è stato celebrato, con torta e candeline, il compleanno di Neda, la ragazza uccisa in Iran perché stava scattando una foto col telefonino durante una manifestazione. Una preghiera avanzata dalla madre, perché in tutto il mondo si ricordassero i 27 anni della figlia, e non la data della morte, portata ad Aquasparta dal giornalista iraniano Ahmed Rafat. Che racconta di “comunicazioni azzerate, visti non rinnovati ai giornalisti, autorizzazioni sospese ai cronisti che non vivono in Iran” e “week end per i giovani a spese di frustate”. Se vanno in una discoteca occidentale o se passeggiano mano nella mano. Come è avvenuto in Francia, anche da noi potrebbe crearsi un “asilo del blog” oscurati in Iran, da far vivere nei siti italiani.


Natalia Lombardo
Inviata ad Acquasparta (Terni)

“Il rischio? Zero intercettazioni, altro che italiani tutti sotto controllo”. Antonio Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo, all’Assemblea nazionale di Articolo21 ad Acquasparta ha sfatato la vulgata su un’Italia supercontrollata. Lo scrive anche nel libro “C’era una volta l’intercettazione” (edito da Stampa Alternativa): “Gli italiani intercettati sono tra i 10 e i 20mila, e non 3 o 4 milioni come hanno detto un anno fa Il Giornale  e il ministro Alfano” facendo una media sui 130 mila decreti di autorizzazione, senza contare però che ogni intercettazione necessita di un decreto da rinnovare ogni quindici giorni. E nel disegno di legge Alfano, che Ingroia chiama “controriforma”, lo stabilire che servano “gravi indizi di colpevolezza” (quando il reato è già stato individuato) e non piu’ “gravi indizi di reato”, porta “all’azzeramento delle intercettazioni, ambientali e telefoniche, che hanno risolto tante inchieste di mafia”.

In questa tre giorni si è parlato tanto di difesa della Costituzione. Secondo lei è in pericolo?
“Da tempo la Costituzione è sotto attacco in alcuni snodi fondamentali. L’autonomia e l’indipendenza della magistratura è da anni sotto assedio costante, e lo è il principio di uguaglianza. L’articolo 3 della Costituzione, anche per merito di una magistratura dalla schiena dritta, non è rimastoun principio astratto. Tutti i piu’ recenti disegni di legge, invece, puntano a creare una giustizia a due velocità: efficiente e dura con i deboli, morbida e fiacca con i potenti. Una giustizia che assicura impunità ai potenti”.

Il processo breve ripropone questo squilibrio?
“Ci sono molti processi a rischio e si favoriscono imputati che si possono consentire una difesa costosa, approfittando delle lungaggini consentite. Si estingue anche il reato, quindi condanna la giustizia al fallimento. E si ingannano gli italiani con una piccola truffa nell’etichetta”.

Non è  affatto “breve”?.

“Dovrebbe definirsi: legge della morte breve dei processi. E’ giusto assicurare tempi rapidi, ma qui c’è un processo che rimane lungo e si fissa solo un termine massimo che non potrà mai essere rispettato. Occorre una riforma della giustizia che accorci i tempi, ma che dia alla magistratura strumenti umani, operativi e fondi. Ci sono carenze del 30 per cento nelle procure di Palermo e Catania, tagli dei fondi per lo straordinario del personale, delle cancellerie. Le udienze si tengono solo la mattina. A tutta macchina i tempi sarebbero dimezzati”.

Quella sul legittimo impedimento è un’altra legge ad personam, oppure è giusto che una carica dello Stato eviti i processi?
“Insistere sui particolarismi ad personam non fa bene al senso di giustizia dei cittadini, che voglioni una giustizia uguale per tutti, senza disparità e privilegi per casta”.
Con la chiusura dell’inchiesta Mediatrade è ripartita l’accusa ai pm di un attacco pre-elettorale. Che ne pensa?
“Putroppo l’aggressione alla magistratura è una costante quotidiana che non si ispira a quei principi di coesione costituzionali piu’ volte raccomandati inutilmente dal presidente Napolitano”.

Al Sud la criminalità manda segnali intimidatori, come in Calabria. Cosa sta succedendo?
“Al Sud ci sono stati molti episodi, in Sicilia soprattutto a Gela, in cui la mafia ha alzato la testa, e in Calabria la n’drangheta è in una preoccupante fase di espansione di potere. Per troppi anni c’è stata distrazione, poco impegno, così la criminalità ne ha approfittato espandendo affari fuori confine, anche nel traffico di droga”.

Connivenze?
“Sì, connivenze, coperture. Serve massima attenzione, ma non solo nel controllo militare del territorio: come è avvenuto per la mafia, bisogna verificare come la n’drangheta ha costituito un sistema di potere che porta a collusioni e intrecci con l’economia e la politica”.

Sulle collusioni in Sicilia, dalla “trattativa” alla condanna in appello a Totò Cuffaro, questo nodo tra politica e mafia è possibile scioglierlo?
 “Negli ultimi anni si è dimostrato che c’è una magistratura in grado di indagare a fondo anche sui rapporti tra mafia e politica, con processi e condanne. Ma la magistratura non può fare pulizia da sola, occorre un corale impegno da parte della politica. Il piu’ delle volte invece dalla politica c’è stata una difesa a oltranza e una controffensiva sulla magistratura, percepita come una minaccia invece che come un alleato. E una magistratura indebolita dalle polemiche e dagli attacchi, con pochi uomini e mezzi, come al Sud, è troppo isolata e sovra esposta. Serve quanto mai il sostegno da parte di tutti”.

*da l'Unità

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