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Articolo 21 - Editoriali
Contro il nuovo “regime” cominciano i fischi
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di Federico Orlando

Cara Europa, mentre l’Italia fischiava a San Remo (anche con sottofondo razzista per Emanuele Filiberto), la censura ha coperto fischi ben più significativi, contro la cupola politico-televisiva che sta facendo imputridire il paese. Mi riferisco a L’Aquila, dove la troupe del Tg1, guidata dall’incolpevole Maria Luisa Busi è stata accolta al grido di «scodinzolini, scodinzolini». Possiamo sperare che sia il primo segno tangibile della rivolta contro il censore e il sultanato? Mio padre raccontava che, da giovane, cominciò a percepire l’avvicinarsi del 25 luglio quando a casa dei suoi genitori al posto dell’Eiar di Mario Appelius e di Virginio Gayda si prese ad ascoltare (sottovoce) solo Radio Londra.
ALDA BERSANTI, ROMA

Cara signora, è vero che in tv non hanno trovato spazio i fischi degli aquilani contro il telegiornale del regime (Busi non ha colpa, ma i suoi eroici colleghi cosa aspettano a difendere i diritti di libertà loro assicurati dalla Costituzione? Che a toglierli d’imbarazzo sbarchino i liberatori come nel 1943?). Ma è vero anche che neanche questa Raiset riesce a nascondere la protesta che sta dilagando nel paese e che prima o dopo porterà alla convocazione del Gran Consiglio. Ieri perfino i giornali di Famiglia risuonavano di contestazioni. Sulla prima pagina del Giornale, Marcello Veneziani scriveva che sulla questione morale «la pazienza è (quasi) finita», e una foto a pagina 3 mostrava una mamma e il suo bimbo che stendevano uno striscione “Ora basta!” (la didascalia aggiungeva: «Cresce il disgusto degli italiani per la politica»). L’altro house organ, Il Foglio, aveva un editoriale del direttore che chiede all’«amor suo» (Berlusconi) «un antidoto alla degenerazione cortigiana»; e paventa che «questa sorta di acedia» (accidia, indifferenza, ndr) del potere consegua a «un difetto di conduzione che risale al principe». Ricorda che «Berlusconi non va in parlamento da quando presentò alle camere il governo, e sono quasi due anni. Non fa un discorso impegnativo da mesi e mesi».
Insomma, non basta dire «governo del fare». Specie, aggiungiamo, se questo fare consiste soprattutto nello sfornare a decine leggi ad personam contro la giustizia e contro il duplice bavaglio a giornalisti e magistrati, mentre migliaia di italiani salgono idealmente sui tetti contro la perdita della fabbrica e del lavoro. Forse è per questo che nei giorni scorsi l’avvocatissimo Ghidini e l’avvocata Buongiorno sono stati fischiati da studenti napoletani davanti a Montecitorio e costretti a riparare in una libreria vicina. Forse è per questo che a Milano le contestazioni alla Moratti e a Formigoni si susseguono. E perfino nella sonnolenta Sardegna di Cappellacci.
La protesta dell’Aquila e dell’Abruzzo, cara signora, dal punto di vista etico-politico è la più significativa di tutte, perché mette insieme le promesse non mantenute, a cominciare dalla casa, e l’insofferenza di chi non vuol fare più da coro in un set scelto dal premier per un golpe costituzionale che trasformi l’Italia in repubblica presidenziale fondata sulla tv e sulla distruzione dell’ordine giudiziario.
Le tv sono state il braccio armato di queste prove generali di golpe, una specie di squadre d’azione da paese d’operetta. Quando gli abruzzesi arrivarono a centinaia davanti a Montecitorio per protestare contro i ritardi del primo provvedimento, i telegiornali di stato non ne parlarono o quasi; una seconda manifestazione ci fu nei giorni scorsi, con le scritte “Noi non ridevamo”, riferite ai vampiri che la notte del terremoto se la ridevano pensando agli euro della ricostruzione. Perfino il papa è sceso in campo (Fisichella e Ruini no, impegnati come sono contro Bonino, Ru486 e testamento biologico). Forse se ne accorgeranno anche loro quando il disgusto sarà incontenibile. 

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