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Articolo 21 - Editoriali
La condanna di Google rischia di instaurare il controllo a priori dei video su Internet
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di Reporters sans frontières

Reporters sans frontières esprime la sua preoccupazione per la condanna dei dirigenti di Google in seguito alla diffusione su Google Video di un filmato di un adolescente affetto da autismo vittima dei compagni di classe.
 
Tre responsabili dell’azienda americana si sono visti infliggere il 24 febbraio 2010 una pena di sei mesi di prigione con la condizionale per violazione della privacy. Il processo ha visto come parti civili il Comune di Milano e l’associazione Vividown, che opera per la difesa delle persone affette da sindrome di Down. A Google si contesta di non aver impedito la trasmissione di questo video nel 2006. La Corte ha giustificato questa decisione, dichiarando che il diritto di impresa di una società non può prevalere sulla dignità della persona.
 
“Pur condannando la diffusione di un video del genere, riteniamo che i veri colpevoli siano gli autori dei soprusi e del filmato incriminato e non coloro che hanno fornito gli strumenti per metterlo online. Google ha rapidamente ritirato il video quando ne è stata segnalata la sua esistenza. Se i giudici avevano l'intenzione di provocare con questa sentenza un dibattito sul rispetto della privacy su Internet, argomento della massima importanza, hanno scelto male il loro cavallo di battaglia”, ha dichiarato Reporters sans frontières.
“Questa condanna purtroppo instaura di fatto una necessità di controllo a priori sulla pubblicazione di video e per questo rappresenta un colpo grave alla libertà di espressione on-line. La sentenza rappresenta un grave precedente, proprio in quanto è stata formulata in un Paese democratico.”
 
Il video in questione, della durata di 15 secondi, è rimasto online su Google Video per due mesi e ha riscosso una certa popolarità. In seguito è stato ritirato dagli amministratori del sito poco tempo dopo che era stato segnalato loro come “scioccante”. Google Video è stata la principale piattaforma di video-sharing prima dell’acquisto di YouTube da parte di Google stessa.
 
E’ la prima volta che a livello internazionale i dirigenti di Google sono accusati e condannati per un reato di questo genere. I tre responsabili condannati sono David Drummond, presidente del consiglio di amministrazione di Google Italia al momento dei fatti, George De Los Reyes, membro dello stesso consiglio, oggi in pensione, e Peter Fleischer, responsabile incaricato della protezione della privacy. I tre sono stati condannati per “violazione della privacy”, ma non ritenuti colpevoli di diffamazione.
 
Il comune di Milano e l’associazione Vividown non riceveranno alcun risarcimento in quanto l’accusa che sostenevano si basava solamente sul reato di diffamazione, non accolto dal Tribunale.
 
“Si tratta di un attacco alla libertà online e ai principi fondamentali che stanno alla base di Internet”, ha sostenuto il portavoce di Google, Marco Pancini. Questa decisione potrebbe costringere Google a moderare a priori la propria piattaforma video oppure a bloccare l’accesso a YouTube in Italia. Anche Blogger, l’ambiente di gestione di blog di Google, e altri servizi potrebbero risentirne.
 
In Francia i siti Internet non sono tenuti a filtrare a priori i contenuti. In compenso devono far sparire nel giro di 24 ore tutti i contenuti contrari alla legge che siano stati loro segnalati. Chi ospita tali contenuti può essere perseguito penalmente se non tiene conto delle segnalazioni ricevute.
 
Non è la prima volta che la libertà di espressione su Internet viene minacciata in Italia. Questa condanna avviene in pieno dibattito sul nuovo progetto per il decreto legislativo proposto da Paolo Romani, viceministro delle Comunicazioni, nel gennaio scorso. Questo decreto mira a obbligare i siti di diffusione di video ad ottenere una licenza ufficiale, instaurando così un sistema di autorizzazione che viene prima dell’esercizio della libertà di espressione. Con la scusa di proteggere i diritti d’autore, soprattutto quelli dei canali televisivi controllati dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il governo si arroga il controllo diretto delle televisioni indipendenti trasmesse via web. La loro esistenza potrebbe in futuro dipendere da una licenza concessa da un ministero e non da un giudice (http://rsfitalia.org/2010/01/20/italia-il-governo-vuole-controllare-i-siti-che-diffondono-video/).
La sentenza del tribunale e tale decreto sembrano annunciare l’instaurazione in Italia di un “approccio preventivo” verso la libertà di espressione su Internet.
 
 
http://rsfitalia.org/
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