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Articolo 21 - Editoriali
L’ipocrisia come pratica di potere
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di Ottavio Olita

Ipocrisia come disvalore di un codice etico? No ipocrisia come pratica di potere per imporre la dittatura della maggioranza. Come giudicare altrimenti il cosiddetto “Decreto Interpretativo” di cui il governo si è riempito la bocca per salvare le liste del PdL escluse dalla consultazione elettorale in Lazio e Lombardia? Decreto che poi, d’ipocrisia in ipocrisia, è stato tradotto su alcuni giornali come “decreto salva-liste”: quali ‘liste’, se sono solo ed esclusivamente quelle del Partito di cui è ‘dominus’ il Presidente del Consiglio?

 Ma a chi spetta, secondo legge, il dovere-diritto di interpretare le leggi dello Stato e di verificarne la corretta applicazione? Alla Magistratura, secondo dettato costituzionale. No; nel nuovo Stato è il Governo che si arroga questo diritto entrando nel merito di leggi varate dal Parlamento. Altro che conflitto di poteri, sovrapposizione di una sola istituzione – l’Esecutivo – su tutte le altre. Altro che veline da Ministero della Cultura popolare.

Qui siamo di fronte all’imposizione di norme nell’interesse esclusivo del partito di maggioranza. Pensate alla condizione nella quale verrà a trovarsi quel giudice, ordinario o amministrativo, che dovrà vagliare la validità dei ricorsi contro le esclusioni delle liste. Se non dovesse accettare “l’interpretazione” imposta dal governo sarà certamente accusato d’essere un golpista che vuole fare strame delle norme dettate da chi è stato “scelto dal popolo”.

 Prima di arrivare a questo atto estremo hanno tentato la strada degli slogan. Il più utilizzato è stato quello che suonava più o meno così: “La burocrazia non può condizionare la democrazia”. Burocrazia? Le norme che fissano le regole, uguali per tutti, su una delicatissima materia come quella relativa alle consultazioni elettorali, sono burocrazia? Provate a pensare cosa sarebbe successo a parti invertite.

“I soliti comunisti tentano di sabotare il corretto svolgimento del confronto democratico”; e via di comunista in comunista. Fino a quando si potrà tollerare che questi signori adeguino al loro interesse tutte le regole che non sono capaci o non vogliono rispettare? Dove sta andando a finire lo Stato del diritto? In questo modo si dovrebbero costruire le riforme ‘condivise’? Quale attendibilità ha chi non accetta in alcun modo i verdetti non favorevoli della magistratura? Quanto si sta accentuando, giorno dopo giorno, lo strabismo di quei liberali garantisti capaci di stracciarsi le vesti quando si affrontano temi delicatissimi relativi a temi come l’inizio e la fine della vita e poi accettano passivamente o, anzi, con completa giustificazione e condivisione decisioni di tale gravità?

 Reagiamo, dunque, accogliendo la proposta di Federico Orlando, Giuseppe Giulietti, Tommaso Fulfaro e di tutta Articolo 21 perché al più presto i cittadini dimostrino pacificamente che i capisaldi di uno Stato ancora credibile sono la bandiera nazionale e il testo della Costituzione. Non potranno mai essere sostituiti l’una dalla bandiera del presidente del consiglio o da quella  della Lega; l’altra dai testi della premiata ditta Ghedini &Co.

 Nel frattempo cerchiamo di far conoscere sempre meglio la Carta Costituzionale. Parliamone nelle scuole, nei posti di lavoro, nelle università, nei centri di aggregazione degli anziani. A Cagliari lo stiamo già facendo e stiamo ottenendo buoni risultati. Rimettiamo al centro del dibattito il bene collettivo, la Repubblica, i diritti e i doveri di tutti i cittadini, non gli interessi privati di un uomo e del gruppo a lui sempre più strettamente legato.

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