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Articolo 21 - Editoriali
Ripartire dall'Europa
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di Maurizio Sciarra

Presi come siamo da eventi che superano ogni possibile immaginazione, mi sento sempre più come quello stolido che invece di guardare la luna fissava un insignificante dito. Anche perché è il complesso e non limpido sistema dell’informazione che mi spinge a fare così. Ma basta sedersi intorno ad un tavolo con altre persone pensanti (è accaduto ieri, ad una riunione di Art. 21) e la mente comincia a schiarirsi.
E allora il quadro degli eventi ci appare un po’ più chiaro, anche se meno confortante ancora. La posta in gioco in questi giorni è senza dubbio la libertà di espressione e la libertà di informazione. E poi c’è l’annoso discorso che l’Italia considera le autorità di garanzia come un piccolo parlamentino dove i “più votati” hanno “più ragione” (lo dice oggi un membro dell’Autorità che rivendica il diritto a fare il tifo per la propria parte), e brucia ancora lo sdegno che ci ha percorso tutti leggendo che corpi di donne possono ricompensare pubblici ufficiali che, per lo stesso senso di appartenenza alla squadra, spianano strade che dovrebbero essere impercorribili…
Tutto ciò ci ha fatto quasi dimenticare che la posta in gioco è ancora una volta (oltre che la libertà) la difesa di interessi economici di una azienda. E allora ricordiamoci che la penultima battaglia che abbiamo combattuto era quella contro il decreto Romani. Traduco: con la scusa di recepire nel nostro ordinamento una direttiva europea sulle telecomunicazioni e le televisioni, si è riscritto per decreto il sistema televisivo italiano, senza passare neanche dalle commissioni parlamentari (alcuni per hobby hanno ascoltato le associazioni di categoria, ma il loro parere non era vincolante…). Si è tagliata la pubblicità a Sky, si sono ammesse le telepromozioni che prima erano fortemente regolamentate (rientravano nel monte ore dell’affollamento pubblicitario), si è prima sottoposto ad autorizzazioni e poi cancellate le autorizzazioni per siti web che diano informazioni, si sono equiparate a vere e proprie tv quelle realtà della rete che trasmettono le cose più strane in streaming, ma nello stesso tempo si è detto che “il mio canale+1” non vuol dire che io ho un canale di più e quindi devo rispondere all’antitrust…. Ma soprattutto si è cercato di eliminare quote di investimento nel prodotto indipendente europeo e di programmazione nelle ore di massimo ascolto. Su questo fronte la pressione delle associazioni (100 Autori e APT in testa) ha determinato un ripensamento che ha reintrodotto le quote di investimento, anche se l’attuale decreto rimanda ad accordi tra le parti la definizione delle percentuali per il cinema. Non è successo lo stesso per i diritti residuali, quei diritti che una normativa europea impone siano trattati separatamente e siano ceduti per un periodo di tempo definito (7 anni). Attualmente si dice che questi diritti rimarranno ai broadcaster, come di fatto è avvenuto fino ad oggi, e quindi non c’è bisogno di innovare…
Traduciamo: questo decreto è stato scritto per lasciare le mani libere ad uno dei due broadcaster che è anche quotato in borsa, e che quindi deve essere libero di stanziare ogni anno la cifra che meglio crede per la fiction ed il cinema europei, in modo tale da non penalizzare il titolo. Sono fonti attendibili che ci hanno dato queste notizie, che ai più di noi sembravano senza motivazioni. Perché una legge (la 122) che ha dato ottimi risultati in termini di ascolti, fidelizzazione di pubblico, rilancio industriale, raccolta pubblicità dovesse essere messa in discussione da aziende che poi di fatto rispettavano quelle quote.
E qui il ritorno al primo pensiero. Siamo di fronte a norme che sono scritte per far tornare i conti in precise aziende, proprio in un momento in cui si deve addirittura parlare di ridimensionamento degli occupati. Il “decreto Romani” ha questo scopo, la raccolta pubblicitaria viene di nuovo reindirizzata verso alcune tv (e non altre), a scapito ancora una volta della carta stampata, con buona pace della direttiva europea che diceva ben altro.
Ciò che accade nell’informazione politica e con il blocco dei talk show in campagna elettorale sta creando perdite di ascolti e di “fiducia” degli ascoltatori senza precedenti. Che vuol dire più soldi ad una tv e meno ad un’altra. Certo, c’è dall'altra parte la comparsa di “soggetti altri” in grado di fare (con armi spuntate) quell’informazione che il servizio pubblico non fa, c’è la scoperta della rete e del digitale terrestre, ma di fatto RAI risulta penalizzata ora e in futuro, perché è a tutti noto che l’abitudine a schiacciare l’ultimo tasto del telecomando che abbiamo scelto ci porta a dimenticare le antiche abitudini. E quindi sarà più difficile riportare gl ascoltatori sulle reti RAI da cui ci stiamo allontanando.
E qui un altro pensiero: è vero, abbiamo sempre detto che ci vuole una legge sul conflitto di interessi. Però dimentichiamo che una legge sul conflitto di interessi, per quanto spuntata, in Italia c’è. Faceva ridere quando fu approvata, perché imponeva al soggetto interessato da un particolare provvedimento di dover abbandonare il consiglio dei ministri. C’è qualcuno che ha mai verificato se la pur lasca normativa sia stata rispettata in queste ultime decisioni? Tutte le delibere prese per favorire l’azienda del capo del governo sono state prese rispettando almeno la forma?
Potremmo e dovremmo partire da qui.
Sono anni che 100 autori chiede che venga rispettato l’obbligo di verificare le quote di investimenti e trasmissione previste dalla 122,  mai l’AGCOM ha trasmesso i dati. Ora l’antitrust dovrebbe fornirci  i dati sul conflitto di interessi, ma chi glieli ha mai chiesti?
Dovremmo sempre più far presente  all’Unione Europea questi problemi, che portano ad una distorsione delle legislazioni comunitarie, oltre che ad una violazione del trattato di Lisbona.
100 Autori ha chiesto alla FERA (Federazione Europea dei registi dell’audiovisivo) di cui fa parte, di intervenire presso la Commissione. Ci è stato risposto che la Commissione è in attesa degli atti concreti del Governo e che comunque siamo sotto osservazione. Ecco, è dall’Europa che tutti dobbiamo ricominciare, nel pretendere quel rispetto di elementari norme comunitarie la cui attuazione, in Italia, sembra il miraggio di un viandante assetato nel deserto.
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