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di Riccardo Cristiano
Alla vigilia della Giornata Mondiale per la Libertà d’Informazione la redazione di Articolo21 apprende che in data 14 aprile 2010 i giornalisti Bassam Ali e Suheila Islmail sono comparsi nella città siriana di Homs  davanti alla seconda corte d’appello per rispondere del crimine di “resistenza al sistema socialista” avendo pubblicato notizie su casi di corruzione, falsi e furti connessi  alla Compagnia Generale per la Fertilizzazione di Homs (Siria) per un ammontare  complessivo di 1miliardo e 800milioni di lire siriane (pari a 3milioni di euro) e successivi articoli per altri casi analoghi per un totale di 2miliardi e 300milioni di lire siriane. 
Il direttore della Compagnia Generale per la Fertilizzazione è stato rimosso dal suo incarico, ma il processo continua. Questo è soltanto l’ultimo di una gravissima serie di episodi di persecuzione dei giornalisti e dei dissidenti che si verifica in Siria. L’organizzazione libanese per la difesa della Libertà d’informazione nel mondo arabo, SKeyes, ha documentato i numerosi casi di giornalisti che spariscono nelle prigioni siriane. E ci ha segnalato questa lettera, che hanno ricevuto e pubblicato all’inizio dell’anno. Abbiamo ritenuto che fosse opportuno tradurla in italiano e pubblicarla alla vigilia della Giornata Mondiale per la Libertà d’Informazione. Si tratta di una lettera  ovviamente non firmata.
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La comunicazione del funzionario dei servizi di sicurezza mi ha sorpreso e tramortito;  avevo già da molto tempo il visto del paese europeo dove intendevo recarmi ben stampato sul mio passaporto. Ma lui mi ha chiamato ugualmente, dicendomi: “A lei non è consentito viaggiare”.
Negli ultimi anni le autorità siriane ricorrono sempre più spesso a misure del genere, evidentemente non bastano le vecchie intimidazioni e gli arresti, così hanno impedito di recarsi all’estero a più di quattrocento dissidenti politici, giornalisti, intellettuali, esponenti delle associazioni per la difesa dei diritti umani.
Questo tipo di divieto mira principalmente ad impedire la partecipazione di cittadini siriani a conferenze internazionali, questa almeno è la conclusione cui è giunto il Center for Media and Freedom of Expression di Damasco (recentemente chiuso dai servizi di sicurezza siriani, ndt).
Eppure la nostra costituzione garantisce il diritto di libera circolazione, interna ed internazionale. La legge prevede che soltanto un tribunale possa impedire ad un cittadino di uscire dal Paese, perché così potrebbe sottrarsi ad un processo. Ma oggi i servizi di sicurezza possono fare quello che vogliono. Possono decidere di incarcerare chi vogliano e detenere il resto della popolazione in un paese che hanno ridotto ad una enorme prigione a cielo aperto.
A molti miei amici è stato proibito di recarsi all’estero, e le conseguenze in alcuni casi sono state drammatiche. Fares Mourad, che ha trascorso 29 anni in prigione per motivi di coscienza, non ha potuto recarsi all’estero per le cure di cui aveva bisogno ed è morto.
Un mio amico non può andare neanche per un fine-settimana a trovare la moglie ed i figli, che vivono in Europa.
E' da qualche anno che ho  capito di essere controllato, di non poter viaggiare liberamente, per la precisione da quando decisi di andare in Libano per partecipare ad un convegno promosso da alcuni gruppi impegnati nella difesa dei diritti civili.
Quando sono arrivato al posto di confine ho consegnato i miei documenti al poliziotto di turno che dopo pochi secondi mi ha intimato, gridando, di seguirlo nell’ufficio del suo superiore.
Appena mi sono trovato davanti l’ufficiale in servizio quello ha  cominciato a farmi tutta una serie di domande: “Hai fatto il servizio militare?  Hai problemi con i servizi di sicurezza? Forse sei un criminale? ” Poi ho capito che ero stato inserito nella lista di coloro ai quali è proibito recarsi all’estero. E quando hanno cominciato a dirmi che dovevo avere il timbro di un certo ufficio dei servizi di sicurezza sul passaporto per poter uscire dal Paese ho cominciato a provare delle sensazioni contrastanti: da una parte ero furioso, dall'altra ero contento che non mi avevano confiscato il passaporto,  non mi avevano arrestato. Nei giorni successivi ho supplicato qualche conoscente  di intervenire in mio favore, ho chiesto che intercedessero per me: che mi lasciassero andare almeno una volta, per partecipare almeno ad una conferenza o ad un corso di aggiornamento professionale; in Europa o in un paese arabo. E tutte le volte che sono andato in qualche ufficio dei servizi di sicurezza per sapere se fossi ancora nell’elenco di quelli che non possono espatriare uscendone ho sempre tirato un sospiro di sollievo: almeno mi avevano lasciato andar via.
Tante ore di interrogatori mi hanno logorato. Ho dovuto rispondere , centinaia e centinaia di volte, alle stesse domande, fatte con lo stesso timbro di voce: “Perché vuoi partire?” “Hai in programma di incontrare all’estero altri dissidenti?” “E’ proprio sicuro che rientrerai in Siria?”
Ho sempre mantenuto la calma, mi sono sempre sforzato di rispondere seriamente a queste domande idiote.
Ho incontrato ogni tipo di funzionario, di tutti i servizi di sicurezza che esistono. Alcuni sono stati educati con me, se così si può dire, gli altri no. Mi ricordo i volti di quelli che hanno annuito mentre rispondevo, ma ricordo anche gli occhi di quelli che mi hanno strillato addosso che sono un bugiardo, minacciando di sbattermi dentro. 
L’idea di lasciar sfumare il mio impegno politico mi ha accompagnato per tantissimo tempo, ma non ho mai pensato di abbandonare la lotta.
Non ho mai saputo il motivo esatto per cui qualcuno ha deciso di proibirmi di recarmi all’estero, ma, come accade regolarmente negli uffici dei servizi di sicurezza siriani, hanno tentato di convincermi a diventare un loro informatore. Ma questa idea, tradire la mia famiglia ed i miei amici, non mi ha mai sfiorato. Vi prego di credermi, io non diventerò mai un loro collaboratore.
 Recentemente, grazie all’aiuto di un mio caro amico, ho partecipato alla selezione per un’ottima borsa di studio in un paese europeo, sforzandomi di non pensare al divieto di espatrio.
Ho vinto la borsa di studio e l’ambasciata del paese europeo dove intenderei recarmi a studiare mi ha  subito concesso il visto, ma la risposta delle autorità siriane ha accesso la luce e spento i miei sogni.
Quanto mi è piaciuto però trascorrere alcuni giorni pensando  che per un po’ sarei stato lontano dalla loro violenza, dai loro interrogatori. Quanto mi è piaciuto pensare alla vita senza la pressione della legge marziale, e quanto mi è piaciuto pensare semplicemente di innamorarmi di una donna europea e di dirglielo, nella sua lingua.
Per ora tutto questo non accadrà, ma ho deciso di non consentirgli di rubarsi i miei sogni e tutte le belle scene europee che ho immaginato. Continuerò a sognare che la mia situazione e quella del mio popolo cambieranno, un giorno o l’altro. Alle volte i sogni si avverano.
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