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Articolo 21 - Editoriali
L’ammaina bandiera della Rai
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di Ottavio Olita

Michele Santoro che spiega per 20 minuti le ragioni del suo disagio, della sua difficoltà di lavorare al meglio delle possibilità, sentendosi ‘tollerato’ e sorvegliato in una Rai che dovrebbe invece esaltarlo per la qualità e l’originalità del lavoro che svolge e per la ricca fetta di mercato conquistata, doppia rispetto a quella consueta della rete che lo ospita; Maria Luisa Busi che sceglie un profilo più basso ma non meno serio, autorevole, di forte impatto, con una lettera interna, rivolta ai colleghi di redazione, nella quale spiega perché non se la sente più di condurre l’edizione principe del giornale più ascoltato d’Italia. Stili diversi, ma stessa sostanza: quella di una critica senza paure ad un’azienda che sta tradendo il suo editore, che non è questo o quel partito, questa o quella formazione politica, ma il cittadino verso il quale ha il dovere istituzionale di garantire un adeguato servizio pubblico.

Così, in questa azienda, oggi può accadere che non venga sanzionato chi nega rettifiche, chi ignora un evento come la Marcia contro le Mafie a Milano, chi scambia senza conseguenze prescrizione con assoluzione, chi fa dell’informazione un contenitore sotto vuoto spinto in cui si ammassano toilettes per cani e canti sotto la doccia, ma viene aspramente redarguito chi si permette di far notare che forse un Paese alle prese con gravi problemi economici e sociali avrebbe bisogno di ben altra qualità ed attenzione informativa da parte di chi sottoscrive con le Istituzioni contratti di Servizio.

Se si consente o si determinano le condizioni perché due bandiere come Santoro e la Busi vengano ammainate, cosa avverrà nel resto della Rai? Con scelte opportunistiche, accettando la logica del ‘tengo famiglia’, tanto diffusa nel nostro Paese entrambi sarebbero potuti rimanere al loro posto riproponendosi immutabili e uguali a se stessi. Ma sentono, legittimamente, e in modo che dovrebbe essere paradigmatico per tanti – non solo in Rai – l’obbligo morale della difesa delle proprie dignità, professionalità, capacità insieme con la necessità di cambiare, migliorare. Il problema è sapere quanti, in particolare tra quelli pronti a stracciarsi le vesti sulle sproporzioni tra gli spazi informativi concessi da testate e reti a questa o a quella forza politica, sono disposti ad impegnarsi per una battaglia ben più ampia e complessa che blocchi non solo l’eliminazione della bendiere-simbolo, ma anche il progressivo scadimento della qualità della programmazione e del ruolo di quella che, ancora oggi, e nonostante tutto, continua ad essere la principale azienda culturale del Paese.

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