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Articolo 21 - Editoriali
Silenzio su Capua
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di Federico Orlando

Sono passati tre giorni, i cadaveri sono ancora insepolti, e anche Capua è finita nel dimenticatoio, nonostante l'ira di Napolitano: ci dicevamo così ieri mattina, sfogliando i maggiori giornali del Nord, dal Corriere alla Stampa. Poi altri fogli ci hanno fornito qualche particolare, a pagina 18, 14, sull'inchiesta, le prime imputazioni già formulate per quattro ditte: dalla casa madre alle subappaltanti. Il professor Lepore, dell’Agenzia europea di Bilbao sulla sicurezza nel lavoro, dice che non impedire un evento che si ha l’obbligo di prevenire equivale a cagionarlo (articolo 40 del codice penale). Come per la Thyssen. Ma il governo Berlusconi la pensa diversamente, coerente con l'annuncio ai giovani ex finiani di Atreju, di voler ricandidare i molti pregiudicati del Pdl, se condannati “solo” dai tribunali e non anche dal partito. Così dimezza le sanzioni per chi cagiona l’evento: un decreto legislativo contro le morti “bianche” riduce le sanzioni a carico dei datori di lavoro e in alcuni casi sostituisce l’arresto con l’ammenda; prevede che per accedere ad alcuni luoghi pericolosi, come le cisterne, siano obbligatori sistemi di sicurezza e vigilanza; tuttavia,  in caso di violazione, la pena detentiva è ridotta da 6-12 mesi a 3-6 mesi, e l’ammenda da 4000-16.000 euro a 2500-6400. Intanto Sacconi invoca le manette per chi lancia un fumogeno a Bonanni, e Tremonti, alla vigilia dei nuovi morti di Capua e di Pistoia, proclamava che la nostra legge sulla sicurezza nel lavoro “è un lusso che non possiamo permetterci”. L’Italia e l’Unione europea “si adeguino al mondo”. E speriamo si tratti di Cina o India, non di Burundi o Kossowo.
        Basterebbe proibire alle grandi aziende, più responsabilizzate, di subappaltare lavori di manutenzione a imprese non “diplomate”: la maggior parte degli infortuni avviene nelle microditte che occupano operai spesso imprepararti, specie al rischio chimico-biologico-nucleare, definito dalla “direttiva Seveso”. Chi rammenta ai lavoratori ch' è vietato gettarsi inermi in soccorso del compagno che sta asfissiando? Il ministro Sacconi? L’imprenditore? Il subappaltatore che talvolta finisce nel pozzo come i suoi operai, perché non lo sa neppure lui (Molfetta 2008, morti quattro operai e il titolare)? Ma dei due  soldi che il ministero del  Lavoro impiegherà per la prevenzione, il 40 per cento, ha scritto il Corriere, è destinato a pubblicità televisiva. E senza Belen. Al processo di Molfetta, un avvocato della difesa diceva: “Per evitare di inalare sostanze nocive basterebbe dotarsi di un semplice strumento chiamato esposimetro , già in dotazione dei vigili del fuoco. Segnala con un suono la presenza di gas nocivi e costa solo 120, 130 euro”. Neanche questo. Al punto da indurre al paradosso il presidente della commissione parlamentare d’indagine (Tofani, Pdl): facciamo ripulire le cisterne dai robot, come sminano il terreno, che una volta era compito dei soldati.    
         Napolitano s’è adirato perché  35 operai sono morti allo stesso modo (nelle cisterne) in quattro anni. Motivi di doglianza verso i poteri pubblici hanno imprese e sindacati, se la situazione è quella descritta sul Mattino da Antonio Galdo: “Un nuovo Testo unico sulla sicurezza del lavoro è stato introdotto da un anno e un’intera pagina dell’enciclopedia Wikipedia  è dedicata a pezzi di precedenti norme che sono state abrogate: è un puzzle cervellotico, che sistematicamente viene aggirato a scapito della sicurezza dei lavoratori”.  Nessun controllo sulle piccole imprese di subappalto, impermeabili a ogni cultura della legalità, come ha evidenziato il recente film sull’abusivismo delle borgate. C’è un solo dio in questo paganesimo, il Massimo Ribasso, e il capro espiatorio è sempre l’improvvisato operaio, pagato in nero, non pagato, non costretto a indossare almeno il casco di plastica. Quello che usano i ministri per le comparsate in tv o a L’Aquila.
         Alberto Moravia parlava di queste cose mezzo secolo fa, quando, nella prefazione all’ “Inchiesta alla Fiat” di Giovanni Carocci, denunciava che la cultura dell’Italia che conta forgiasse parole strumentali come “logica del monopolio”. Se c'è il monopolio ha la logica,avrà anche l’interesse, la necessità, la legge del monopolio,  valori strumentali al ciclo produttivo, ma sostitutivi dell'unico criterio di misura della democrazia, l’uomo. Moravia invitava a rovesciare il senso orwelliano di quelle parole: non logica ma illogica, non razionale ma irrazionale, non legale ma illegale. Per riequilibrare, con la dialettica,le forze sociali. Ma allora la cultura si occupava di questo. Oggi nel caso più nobile tratta di “relativismo”, nel caso più plebeo di “berlusconismo”.

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