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Articolo 21 - Editoriali
Una storia triste ed emblematica: la storia di un detenuto, si chiamava Graziano Scialpi
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di Valter Vecellio

E’ una storia triste ed emblematica: la storia di un detenuto, si chiamava Graziano Scialpi. Aveva 48 anni, era recluso nel carcere “Due Palazzi” di Padova. Una storia, un calvario, che ricostruiamo grazie alle notizie fornite di due meritorie agenzie, “Ristretti Orizzonti” e “Redattore sociale”. Scialpi era certamente colpevole del reato per cui era stato condannato: aveva ucciso, e aveva reso una confessione dove ricostruiva il come e il perché; e del resto poco importa, nulla toglie o aggiunge alla gravità della vicenda.    
   Tutto comincia nel novembre del 2009. Scialpi avverte dolori fortissimi, insopportabili. Al massimo gli danno qualche pillola, che non la faccia tanto lunga, la smetta di seccare.  Quando finalmente, e dopo mille insistenze, viene prescritta una risonanza magnetica, lo portano in  ospedale il giorno sbagliato, e così l’appuntamento salta. Non viene più riportato a fare l’esame. Si arriva così al 24 agosto di quest’anno, quando Scialpi viene ricoverato. Il tumore, partito dai polmoni, ha avuto tutto il tempo per espandersi. Una parte della massa viene tolta durante l’operazione, ma il resto non è operabile, perché troppo esteso.
   Un paio di mesi di agonia, poi la morte. Scialpi certamente è morto di malattia, aveva un tumore devastante che dai polmoni si era propagato ovunque. Ma si può dire che sia morto solo di malattia? Per un anno lo si è lasciato soffrire in modo atroce nel fondo di una cella, in attesa di una risonanza magnetica che non arrivava, poi lo portano in ospedale il giorno sbagliato e salta tutto; infine si decide il ricovero solo quando le gambe ormai sono paralizzate e il male era tale che passava notti insonni a urlare il suo dolore…Tutto questo non è malattia. In tutto ciò forse non c’è un dolo, ma certamente c’è una colpa, un concorso di colpa esterno. C’era chi sapeva, chi poteva, e non ha voluto fare qualcosa.
   Gli amici di Scialpi, i collaboratori e gli animatori di “Ristretti Orizzonti”, la rivista a cui collaborava con vignette che strappavano sorrisi amari, si augurano che la storia di Graziano serva a puntare una nuova attenzione su chi sta male in carcere. Non si può, dicono, essere detenuti e pensare che, oltre che la libertà, sia così facile anche perdere la salute e la vita.
  Diceva Voltaire che per capire e conoscere il livello di civiltà di un paese occorreva vedere lo stato delle sue prigioni, il trattamento che viene riservato ai detenuti. Qual è il livello di civiltà di questo paese, dove detenuti possono morire come è morto Graziano Scialpi?

 

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