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Articolo 21 - Editoriali
Quando la politica rinuncia a guidare la società contro la camorra
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di Davide De Stavola

All’indomani dell’operazione “Caleno”, che il 23 febbraio 2009 disarticolò il clan Lubrano – Ligato ( alleato della cosca Nuvoletta di Marano e punto di riferimento nel Casertano della mafia siciliana ) e una parte del clan dei “casalesi”, il sindaco Giorgio Magliocca dichiarò: ”[…] Mi congratulo con la magistratura e le forze dell’ordine. […] È un sollievo per me e la mia amministrazione sapere che le cosche verso le quali ci siamo fortemente esposte siano state debellate dal nostro territorio”. Venti mesi dopo, l’amministrazione che guida la città ha già rimosso dalla memoria i clan che da decenni gestiscono il malaffare a Pignataro Maggiore e nei dintorni. All’apertura del processo che vede sul banco degli imputati i vertici di ieri e di oggi del gruppo una volta guidato da Vincenzo Lubrano (consuocero di Lorenzo Nuvoletta) e di quello riconducibile alle cosche dell’Agro Aversano, il Comune pignatarese ha rinunciato a costituirsi parte civile. Non ha voluto infierire contro cosche che hanno defraudato delle risorse un intero territorio, cosche favorite da una politica inconsistente, da una società civile timorosa e da operatori economici vittima del racket o collusi. Eppure davanti ai giudici del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere sono finiti uomini che hanno rubato il futuro di tante generazioni. Nomi tristemente noti nella storia criminale locale, come Raffaele Ligato, Pietro Ligato, Antonio Raffaele Ligato ( i due rampolli del defunto Vincenzo Lubrano, Giuseppe e Gaetano, invece, hanno chiesto il rito abbreviato ). Tutti appartenenti a quelle famiglie che hanno rappresentato la mano armata che ha eseguito o deciso la morte di tante vittime innocenti: da Franco Imposimato al carabiniere Salvatore Nuvoletta, fino all’omicidio di Giancarlo Siani ( il fratello di Vincenzo Lubrano, Gaetano detto “Pugaciov”, era il consigliere molto ascoltato dai fratelli Nuvoletta ai tempi dell’assassinio del giornalista ). L’episodio della morte del giovane cronista de “Il Mattino” – come riportato nell’ordinanza emessa nell’ambito dell’operazione “Caleno” - è richiamato proprio dal defunto capoclan pignatarese (“ don Vincenzo” è morto nel 2007 ), quando lamenta la pubblicazione da parte di un giornale provinciale di inchieste sulla camorra scritte da Enzo Palmesano e ne chiede la fine della collaborazione. Il giornalista e scrittore, cacciato dal quotidiano, è stato l’unico a costituirsi parte civile. Vari imprenditori, commercianti e cittadini, seppur vittime dei clan, hanno rinunciato a costituirsi parte civile. In un territorio come l’Agro Caleno nel quale si respira l’area della camorra, il Comune avrebbe potuto dare il buon esempio con un gesto dall’alto valore simbolico. Utile per rompere il muro della paura e dell’omertà, chiedendo i danni alle cosche sotto processo. Invece, gli amministratori comunali hanno deciso di rinunciare a quel risarcimento soprattutto morale che spetterebbe a Pignataro per promuovere la cultura della legalità, troppe volte soffocata dal falso perbenismo.
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