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Articolo 21 - Editoriali
"...non c’è più un posto a sedere... ci hanno preso anche i sedili..." Il razzismo 'spiegato' ai bambini
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di Giorgia Tosini

Da qualche tempo, in veste di operatore sociale a Roma, accompagno i bambini delle classi elementari a scuola, per poi andare a riprenderli al termine della loro attività didattica.
Il piccolo gruppo che mi è stato assegnato riflette grosso modo quella che è la situazione all’interno della scuola stessa; ossia il convivere di giovanissimi italiani accanto ad un numero significativo di stranieri.
Un connubio di fatto perfetto e i legami che s’instaurano sono armoniosi e “paritari”.
Eppure ogni volta che i ragazzini romani vogliono rivolgere un’offesa ad un terzo (non necessariamente straniero), le espressioni più utilizzate sono del tipo “…rom che vivi nei cassonetti…” piuttosto che “…tornatene a casa tua straniero…”. 
Il paradosso risiede in questo contrasto comportamentale, perché non si rendono conto che il loro amichetto è anche lui uno straniero e quindi diverso.
C’è da dire che quando i piccoli utilizzano un determinato linguaggio lo fanno intenzionalmente, con la volontà di dire una cattiveria e di ferire, mostrando pertanto una certa consapevolezza.
Ma torniamo alle succitate espressioni e mi chiedo: si può parlare di razzismo?
Mi sento di escluderlo, anche se emeriti studiosi hanno teorizzato che una certa vena razzista esista già dentro di noi.
Allora perché si esprimono in questa maniera?
I giovanissimi tendono ad osservare attentamente tutto ciò che li circonda ed imparano a discernere ciò che è diverso da loro. 
Così “ formano” quella che d’ora in poi sarà la propria idea di normalità e di conseguenza tutto ciò che  si discosta da essa viene avvertito come estraneo.
Queste riflessioni diventano pressanti quando poi incontro i loro genitori e i loro insegnanti.
Rappresentano le due Istituzioni che, più di ogni altra, hanno la responsabilità della formazione dei nostri ragazzi e mi verrebbe voglia di chiedere loro se considerano la diversità un valore aggiunto o una nemica.
Forse troverò il momento adatto per parlare con loro ed è con questo pensiero che “consegno” loro i figli.
Un saluto affrettato e via verso la fermata dell’autobus.
Arrivo, salgo e mi accomodo accanto a due signori di mezza età: un uomo e una donna.
Colgo una conversazione già iniziata.
“…non c’è più un posto a sedere… ci hanno preso anche i sedili…”
Mi guardo attorno e capisco che si riferiscono ai tanti stranieri che occupano i posti a sedere.
Un flash improvviso attraversa la mia mente: la lotta per i diritti civili che negli anni cinquanta spinse i neri americani a una dura lotta contro il razzismo ed i pregiudizi.
L’accostamento è certo spropositato, perché allora chi disubbidiva alla legge che non permetteva ai neri di occupare sugli autobus il posto dei bianchi, veniva arrestato e perseguito.
Non faccio a tempo ad elaborare più a fondo il succitato flash che i due “vomitano" il più vieto dei discorsi: “…già e poi sai quel ragazzo… quello dell’Anagnina… quello che ha ammazzato la rumena con un pugno… per carità poveretta, ma l’ha provocato… insomma se l’è andata a cercare…”
Mi ribolle il sangue e mi verrebbe la voglia di gridargli addosso tutta la mia rabbia.
Accumulo una miriade di sensazioni.
Penso a Mandela piuttosto che Luther King, e che il loro sacrificio non ha insegnato niente a tanta gente.
Penso ai cartelli esposti fuori dei palazzi del Nord Italia negli anni cinquanta “…non si affitta ai meridionali…”.
Penso all’on.Borghezio che andava a disinfettare con l’alcool i posti dove si erano sedute le donne nere.
Penso alla campagna elettorale del centrodestra che nel 2007 ha probabilmente vinto le elezioni sfruttando in maniera morbosa il tema della sicurezza.
Ed improvvisamente ripenso alle famiglie con cui avrei voluto parlare di questi problemi; perchè quei 2, seduti accanto a me, erano probabilmente un padre e una madre di famiglia ed incarnavano quelle pulsioni xenofobe che stanno sempre più attraversando la nostra società. E non dimentichiamoci che la xenofobia non è altro che l'anticamera del razzismo. 
Ed allora non sono sufficienti il dettato Costituzionale e le leggi, ma c’è una battaglia culturale da intraprendere.
Senza demagogie e fughe in avanti.
Oggi i nostri figli condividono spazi di vita significativi con gli stranieri, diversamente dai loro genitori ed ancor più dai loro nonni.
Per loro il diverso, lo straniero o il rumeno da abbattere non dovranno più esistere.
Un sogno? 
Forse… perchè, come si dice, la mamma dei cretini è sempre incinta e un rom o un nero sono pur sempre “perseguibili”.
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