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Articolo 21 - Editoriali
Osteria del Parlamento: urla, insulti e strafalcioni
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di Vittorio Emiliani*

Sento un coro, un po’ sgangherato, da osteria brianzola: è il “Va’ pensiero” cantato da un gruppo di deputati leghisti che escono dall’aula ed entrano nel “corridoio dei passi perduti”. Qui si è perduto il gusto, il senso delle istituzioni. Dentro, in mezzo ad uno sventolare di bandiere tricolori e di “Viva l’Italia!”, scorgo la Santanché, Brunetta davanti a lei e altri che, con la mano destra sul cuore, gridano, più che cantare, “Fratelli d’Italia”. Due posizioni opposte, antitetiche, politicamente e storicamente. Unitari e secessionisti (alla Lega nulla importa, se non in modo contingente, del federalismo). Ma compatti al governo, più che mai. Senza un’ombra di dubbio.

Mi vedo con altri cronisti parlamentari di lungo corso. Qualcuno, come me, è stato anche deputato, ha frequentato quest’aula, questi corridoi, per anni e anni, annotando cronaca e storia. Ricordo di aver raccolto qui un’ultima sconsolata amarissima frase di Ferruccio Parri, la cui onestà oggi sarebbe considerata pura dabbenaggine da questi qui che cantano e berciano. Era in corso un teso, drammatico confronto sullo scandalo Lockheed. «Non avrei mai creduto di assistere ad una cosa del genere», ripeteva “Maurizio” ormai piegato in due scuotendo la folta capigliatura candida. «Non avrei mai creduto...». Pareva di aver toccato il fondo. Adesso il fondo non si tocca mai. Come mi dice il sette volte ministro socialista Giovanni Pieraccini, classe 1918, sempre lucido e attivo: «Mi fa impressione codesta compera dei deputati, ma ancor più la debole durata dell’indignazione».

È una strana aria quella in cui ci muoviamo. Fuori hanno creato una “zona rossa” munita come un fortilizio bellico. Per arrivare sin qui, abbiamo dovuto mostrare tessere e tesserini. Poi però non si sono accorti, i servizi, che arrivavano i Black Block (o gli infiltrati, non si capisce, come nel vecchio film del ’77, poi del G8 di Genova). Dentro al Transatlantico c’è tanta gente. Molti cronisti, certo. I deputati, ovviamente. Gli ex deputati, sicuro. Però altra gente ancora. Come quella che occupa quasi per intero le stesse tribune degli ex parlamentari. Solo posti in piedi. Mai visto. Un commesso si scusa e finisce lì.

Dall’alto sembra davvero che sulla testa il capo del governo si sia incollato un pezzo di moquette. La votazione è ancora in corso. C’è un clima da arena di provincia, con grida sguaiate. Prima parlava Fabrizio Cicchitto, ex sinistra della sinistra lombardiana, mai simpatico e però un tempo culturalmente avvertito, ad un certo punto definisce Di Pietro “laureato semianalfabeta”, e giù a ridere, il capo del governo per primo che applaude come fosse al Bagaglino, mentre rimangono immobili e senza sorriso Letta e Tremonti. Cicchitto che, quando si seppe che aveva chiesto l’iscrizione alla Loggia P2 e che Gelli gli aveva destinato quale “padrino” il fascista Giulio Caradonna, oltre a prendersi un ceffone da Riccardo Lombardi, mise in stato di choc mezzo Psi. Adesso si è adeguato, anche nel linguaggio, al Cavaliere. Lui come Paolo Bonaiuti. Quasi fossero cresciuti e andati a mignotte insieme. Com’è potuto accadere?

Sta votando, fra i battimani, Giuseppe Vegas. Ma non è stato nominato presidente della commissione Antitrust? Sì, il 18 novembre. L’ha imposto un presidente del Consiglio dal formidabile conflitto di interessi. Ma vota ancora. Anni fa dirigeva la Fondazione intitolata a Luigi Einaudi nemico giurato dei conflitti di interesse, dei monopoli privati. Scandisce tranquillo il suo “No” alla sfiducia. Vota anche Berlusconi, del resto. Mentre non vota Fini.

Ridiscendo in Transatlantico. Arriva Silvano Moffa ex rautiano, poi finiano, ora quasi “ex” per il duro discorso di Italo Bocchino. Lo davano per barricato nel suo studio. «Non scende, non vota». Invece è qui fra noi e dichiara che voterà la sfiducia chiedendo però le dimissioni di Bocchino. Lo chiamano a votare. È scomparso. Ha già cambiato idea, pentito di tanto coraggio. Se Berlusconi dura, gli darà un posto di governo, come a Calearo, l’industriale veneto che per il Pd veltroniano doveva “sbancare il Nord Est”, o a Domenico Scilipoti, ginecologo-agopuntore, messinese, ex dipietrista che pronuncia la sua frase storica: «Sono così intelligente a (sic) rendermi conto di quello che ho fatto, e l’ho fatto anche nell’interesse dei miei figli», povere creature innocenti. Quando fa la sua passerella riceve un’ovazione da stadio.

Tutti prevedono: «Adesso il Berlusca aprirà a Casini, è già al Quirinale». Macché, il giorno appresso (cioè ieri) lui dichiara che andrà avanti nella compravendita di deputati sciolti e a pacchetti, e la metà e più degli italiani dirà: Silvio è proprio forte, un fenomeno. Il fondo? Chissà dov’è, la slavina continua. Ma non si può mollare. Anzi.

*Tratto da l'Unità

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