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Articolo 21 - Editoriali
Rom: tra vuoti legislativi e falsi stereotipi
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di Bruna Iacopino*

In molti ricorderanno la polemica che si era innescata appena lo scorso anno in seguito alla decisione da parte del Governo francese di espellere in massa le comunità rom dal territorio. Da quella polemica era scaturita una risoluzione, approvata a larga maggioranza dal Parlamento europeo e mirata non solo a bloccare il comportamento francese, ma anche a limitare sul nascere possibili fenomeni di emulazione. Facendo una rapida ricerca a ritroso risulta dal 1969 ad oggi tra risoluzioni e raccomandazioni, il problema è stato affrontato sotto vesti e aspetti diversi in decine e decine di documenti, senza però sortire risultati effettivi, permanendo un vuoto legislativo che riguarda non solo il nostro paese ma l’intera comunità europea.

Un vuoto legislativo che in Italia viene invece compensato con un ricorso continuo, almeno negli ultimi anni, alle decretazione d’urgenza e ai vari “pacchetti sicurezza” ( ivi compresi i patti per la sicurezza siglati per città come Roma, Milano e Napoli). Una gestione errata, stando alla UE, che non ultimo , nel 2008, aveva stigmatizzato con l'ennesima risoluzione la “schedatura su base etnica” decisa dal governo Berlusconi. Ma le mancanze dell'Italia, stando all'Europa, sembrano essere molteplici, a partire dal fatto che contrariamente ad altri paesi, non ha mai voluto riconoscere Rom e Sinti quale minoranza linguistica, privandoli in questo modo dei vantaggi che la legge n. 482 del 15 dicembre 1999 concede alle altre minoranze presenti sul suolo nazionale: in fase d'approvazione la parte relativa al riconoscimento di Rom e Sinti venne stralciata poiché non “potevano essere ricollocati in un'area geografica specifica”. 

Vuoto solo in parte compensato dalle legislazioni regionali che a partire dagli anni '80 incominciano a farsi “carico” del problema con apposite disposizioni, ma con un limite fondamentale: la “centralità assegnata alla dimensione del campo nomadi... Nati alla fine degli anni sessanta  in alcune città del Nord (tra cui Milano, nel 1967) – racconta Federico Furlan, ricercatore in diritto costituzionale nell’Università Bicocca di Milano, nell'ambito del convegno tenutosi a giugno di quest'anno dal titolo “La condizione giuridica di Rom e Sinti in Italia”- e considerati un fattore positivo anche dall’Opera Nomadi, i campi di sosta sembravano rispondere alle finalità di integrazione dei Rom nel miglior modo possibile perché consentivano di preservare forme di semi-nomadismo, ai servizi comunali di svolgere attività educative e di formazione professionale dei giovani rom, assicurando al contempo accettabili livelli igienico-sanitari ed il controllo sulla popolazione ivi dimorante”.
Da allora, fino ad oggi, sostiene Furlan, tutte le norme e le soluzioni proposte, ruotano solo ed esclusivamente attorno a questo perno. Continuando a supportare lo stereotipo del rom nomade per cultura, quando nella maggior parte dei casi, come ribadito più volte dal musicista e docente universitario Santino Spinelli, i rom sono stanziali e la maggior parte di loro, in Italia, viva dentro normali abitazioni.
Eppure l’idea del campo nomade è duro a morire, in primis per i nostri politici. Gli esempi di Roma e Milano parlano chiaro.

“ Il campo è l’oggettivazione dello “stato di eccezione”, in cui la legge sospende se stessa ed in cui vengono ammassati individui che rappresentano la materia di scarto di una società coesa intorno ad un contratto sociale condiviso dal gruppo più numeroso e con maggior potere.” Scriveva Giorgio Agamben in “Stato d'eccezione”.
Ma i campi sono anche luoghi dove far valere il principio della “rieducazione” per l'individuo considerato disadattato. Concepiti come “fasi transitorie” hanno finito per diventare, in termini di scelte politiche nostrane, l’unica soluzione possibile  per le comunità rom.

Così accade che questi stati d’eccezione vengano fissati per legge, nero su bianco, dall’amministratore di turno…
Basti prendere, a mo d'esempio, al piano nomadi per la capitale, voluto dal sindaco Alemanno ( ma già studiato e in parte messo in pratica dalla precedente amministrazione Veltroni) e giudicato dal Ministro Maroni, un “modello da esportare in tutta Europa” , per capire di cosa si stia parlando.
Campi lontani dai nuclei abitati, controllati da un servizio di guardiania h24 che monitora entrate e uscite, telesorveglianza lungo tutto il perimetro, nuclei abitativi ( sotto forma di container o roulotte) suddivisi per gruppi etnici o per provenienza, un registro posto all'ingresso per segnare i visitatori ( parenti o amici) che hanno il divieto assoluto di pernottamento come ospiti, e per ognuno dei “residenti” un tesserino magnetico di riconoscimento ( DAST- Documento d'autorizzazione allo stazionamento temporaneo).

Scelte di una politica miope e frutto di interessi particolari, per riassumere in breve le riflessioni di Santino Spinelli, che in un’intervista pubblicata lo scorso anno su questo stesso sito teneva a sottolineare: “L’integrazione dei Rom e Sinti in Italia non passa attraverso le tasche degli italiani, come spesso demagogicamente i politici vogliono far credere, ma attraverso i fondi europei, essendo i Rom e Sinti cittadini europei.”
Come anche ricordato nell'ultima risoluzione votata, l'Europa dispone di diversi fondi, destinati a progetti di integrazione. Per gli anni dal 2007 al 2013 il FSE ( Fondo sociale europeo) ha stanziato ben 76 miliardi di euro per progetti “destinati alle persone” ivi compresa l'inclusione di soggetti svantaggiati, di questi all'Italia sono spettati 15 milioni 321 mila euro (budget comprensivo anche del finanziamento nazionale per stato membro) una cifra solo di poco inferiore alla Germania che è prima in classifica, a cui si è aggiunta poi recentemente la possibilità offerta nel quadro dei Fondi strutturali di destinare fino al 2% della dotazione complessiva del Fondo europeo di sviluppo regionale alle spese per l'alloggio a favore delle comunità emarginate. Il dubbio, che questi fondi vengano invece impiegati per lo sgombero e la realizzazione di nuovi campi appare dunque lecito, a discapito di reali politiche per l’integrazione…

*Sintesi tratta dall'articolo "La logia dell'emergenza continua" pubblicato nel numero di ottobre della rivista Confronti

P.S: il 20 dicembre 2010 veniva pubblicata in Gazzetta ufficiale la proroga dello stato di emergenza per la prosecuzione delle iniziative inerenti agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio, Lombardia, Piemonte e Veneto
http://www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2011/gennaio/dpcm-17-12-2010.pdf

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