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Articolo 21 - Editoriali
Proprio duro la Lega l’ha …
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di Kalimero

Amici, italiani, concittadini!
Vengo dopo tanti migliori di me a festeggiare i 150 anni dell’unità del nostro Paese, a ricordarvi quanto lunga e tenace fu la guerra che i nostri progenitori dovettero affrontare, combattere e vincere e quanti e quali eroi dovettero impegnarsi fino al sacrificio della vita perché l’Italia finalmente si riunificasse nella libertà come solo duemila anni prima era stata unificata.
Dal 1821 al 1870, con tre successive Guerre d’Indipendenza, avvenne quello che può ben definirsi il miracolo dell’unità d’Italia, fondato non su un meschino nazionalismo di potenza, ma sugli antichi principi di libertà dallo straniero e di abbattimento dei despoti che ha dovuto passare attraverso le società segrete della Carboneria e della Giovane Italia, rafforzandosi col sostegno dei pensatori, dei poeti e degli scrittori, da Giuseppe Mazzini a Silvio Pellico, per poi sfociare nei veri e propri moti rivoluzionari, dapprima a Nola, poi in Piemonte, poi ancora in Emilia e via via in tanti altri centri dove l’insofferenza per il giogo austro-ungarico, per quello dei Borboni e per quello del Papa ne consentì l’esplosione.


Al diffondersi degli ideali di un’Italia unita e libera, che già troviamo nel Proclama di Rimini del 1815 di Manzoni, dove scrive “Liberi non sarem, se non siam uni”, si contrappose la persecuzione dei patrioti che diede vita ad una serie impressionante di episodi eroici, dai Martiri di Belfiore, ai fratelli Cairoli, ai fratelli Bandiera … E come dimenticare il tappezziere Amatore Sciesa che, attraversando la Milano del Generale Radetzky verso il patibolo, fu fatto passare sotto la sua abitazione con la promessa del rilascio contro la delazione dei complici, ma proprio sotto le finestre di casa rispose “Tiremm innanz”?
Quegli episodi sembrano lontani nel tempo (e dalla morale corrente) e, invece, sono ancora vivacissimi e si ripetono a due ore dai nostri aeroporti. C’è il popolo arabo che proprio in questi giorni sta vivendo il suo Risorgimento, che sta combattendo, come noi cent’anni fa, contro i suoi Generali Radezky, che affronta con fucili e pistole i carri armati, che cerca la sua strada verso la libertà contro le torture. Da quelle guerre e dalla povertà in cui quei paesi sono stati ridotti dalla prevaricazione dei dittatori, alcuni stanno fuggendo cercando la via della speranza in Europa.
Ma Bossi dice loro “Fora da i ball” e Bossi è di quelli che ce l’ha duro.
Amici, italiani, concittadini!
Voi tutti ricordate che l’unità d’Italia del 1861 fu solo il primo passo e si completò neppure con la presa di Porta Pia il 20 settembre 1870.


A quel tempo mancavano ancora Trento e Trieste e può ben dirsi che, nonostante la conquista di Roma, il peggio doveva ancora arrivare come arrivò il 24 maggio 1915 con lo scoppio della prima guerra mondiale che poi fu detta l’ultima guerra del Risorgimento.
Bisogna recarsi sul Monte Grappa o sul Pasubio a visitare le gallerie scavate con la forza dei muli sotto i colpi dall’artiglieria austriaca per immaginare cosa sia stata la Grande Guerra: undici inutili offensive del Generale Cadorna sull’Isonzo per poi perdere quel fronte con la drammatica sconfitta di Caporetto del 24 ottobre 1917 retrocedendo fino al Piave. E lì resistere, resistere, resistere fino alla primavera, con l’arrivo di quei ragazzi del ’99 che, senza ancora aver compiuto i diciott’anni, sotto la guida del Generale Armando Diaz, inflissero al nemico la tremenda sconfitta di Vittorio Veneto costringendolo alla resa.
Fa ancora vibrare d’orgoglio quel bollettino della vittoria: « 4 novembre 1918, ore 12 - La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S. M. il Re Duce Supremo, l'Esercito italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta…. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza...”. E siccome quel bollettino si concludeva con “Firmato Diaz”, molti italiani presero a battezzare i loro figli “Firmato”, così come poi li avrebbero chiamati “Benito”.


Tempi lontani sembrerebbero e, invece, a due ore dai nostri aeroporti, c’è una città di nome Misurata intorno alla quale si combattono i ribelli ed i lealisti di un dittatore che, contro la Storia e le pressioni delle potenze di tutto il mondo, non cede. Da quel fronte, da quel paese in guerra, in tanti cercano una via di fuga verso il benessere e la tranquillità dell’Europa.
Ma Bossi dice loro “Fora da i ball” e Bossi è di quelli che ce l’ha duro.
Amici, italiani, concittadini!
Sappiamo tutti che con la fine della Grande Guerra i problemi dell’unità d’Italia con si sedarono e che nuove e gravissime tribolazioni aspettavano gli italiani, nonostante i primi ruggenti fasti del fascismo. La mostruosità della seconda guerra mondiale era infatti in agguato e per quanti nonni ci si affanni ad interrogare, è ancora inspiegabile come poterono sopravvivere tanto a lungo le leggi razziali (in Italia dal 1938) sino ai campi di sterminio in perfetta funzione ancora il 27 gennaio 1945, quando i russi entrarono ad Auschwitz. Quelli che vivevano nella stessa epoca dei gasatori degli ebrei, sono ancora tra noi e non riescono a spiegare, se non con un “Nulla sapevo”, quale follia li rese tanto insensibili a quella ripugnante logica xenofoba.
Non si possono ragionevolmente negare gli aspetti positivi della stagione socialista del fascismo e con altrettanta ragionevolezza non si può criticare più di tanto la decisione di Mussolini di scendere in guerra affianco alla Germania, una volta preso atto che la grande maggioranza degli italiani era fascista e tutto il mondo era già sceso in guerra, ma non possiamo dimenticare quello che accadde dopo l’8 settembre 1943, quando il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio diffuse sulle onde radio dell’EIAR un proclama così confuso che nessuno sapeva esattamente cosa fosse successo e cosa si dovesse fare, una volta che i vertici dello Stato, abbandonando Roma, avevano lasciato l’esercito privo di ogni riferimento mentre ancora combatteva fianco a fianco con i tedeschi, di punto in bianco diventati nemici per ordini di superiori divenuti evanescenti.
Probabilmente fu proprio la perdita di ogni guida a costringere buona parte degli italiani ad aprire gli occhi sul ventennio appena trascorso e sulla mancanza di libertà che lo aveva caratterizzato facendogli assumere l’impegno di una più radicale liberazione sotto il nome della Resistenza partigiana e del Comitato di Liberazione Nazionale.
La contrapposizione tra le due Italie, quella lealista della Repubblica di Salò e quella della Resistenza, diede vita a molti scontri mentre la lentissima risalita dell’esercito tedesco, sotto la pressione dell’avanzata degli alleati, lasciava sul campo innumerevoli atrocità.


E’ stato calcolato che tra quelle della Wehrmacht, quelle delle SS e quelle della Repubblica Sociale, ci siano state 400 stragi di italiani con circa 15.000 caduti tra partigiani, simpatizzanti della Resistenza, ebrei e cittadini comuni.
I nomi delle Fosse Ardeatine, di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema, assieme a tante altre località tra Castellaneta e Bolzano, sono marchiati a fuoco per sempre nelle nostre coscienze.
D’altra parte, se poco sappiamo di quanto accadde ai lealisti di Salò caduti nelle mani dei partigiani, sappiamo però che ci sono volute ben tre amnistie nel dopoguerra per sedare i cuori in attesa che il trascorrere delle generazioni renda più sopportabile quello che la ragione non può sopportare e che, in ogni caso, non si dovrà mai dimenticare.
L’epoca della Resistenza partigiana è stata giustamente definita il Secondo Risorgimento ricordandoci che il peggio non è mai morto e che da un momento all’altro tutto può succedere, così come in passato è successo che dallo splendore dell’Impero romano si sia precipitati nell’oscurità del Medio Evo. Giappone docet.


Ma se è così vicino ai nostri tempi il Secondo Risorgimento italiano, con la finalmente conquistata libertà, tanto da poterlo leggere ancora oggi negli occhi dei nostri vecchi, come possiamo trattare come res inter alios la ribellione che sta attraversando tutta l’Africa del Nord e il Medio Oriente, rimanendo insensibili alle stragi che insanguinano le strade e le piazze che fino a ieri abbiamo attraversato con gli infradito ai piedi, curiosi attorno alle piramidi e festosi per mari limpidi, cous cous, e corse berbere, rifiutando l’aiuto che ci impone anche solo l’educazione cattolica che tutti ci ha attraversati fin da bambini?
Ma Bossi dice ai nordafricani “Fora da i ball” e Bossi è di quelli che ce l’ha duro.
Amici, italiani, concittadini!
Posto che in politica le possibili preferenze di soreta non interessano a nessuno (salvo ossessionare uno solo), mentre l’unica cosa che in politica conta per tutti è l’elasticità di comprendonio, io, su quest’ultimo aspetto, finalmente convengo con Bossi e i suoi. E qui confermo e rafforzo che non solo di durezza si tratti, ma di vera e propria consistenza metallica che più ferrigna non si può.  


 






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