Articolo 21 - Editoriali
Vittorio e l'utopia della pace
di redazione
Vittorio era una persona come probabilmente se ne incontrano poche nella vita di tutti i giorni. Amava definirsi “utopista”, così si faceva chiamare su FB: Vittorio Utopia Arrigoni. Sapeva perfettamente, lo sapeva bene, che la sua era una battaglia contro i mulini a vento, e che il rischio era quello di rimanerci appeso a quella pala per poi cadere giù. Eppure con coraggio sfidava i proiettili israeliani e parlava, raccontava, documentava, postava video e foto che avrebbero dovuto suscitare l'indignazione collettiva, nel tentativo, vano il più delle volte, di rompere quel muro di silenzio che da troppo tempo ingabbia gli abitanti della Striscia di Gaza, ancor più, forse, dell'assedio che li stritola materialmente.
E quel muro lo aveva bucato durante l'operazione Piombo fuso, quando i suoi racconti erano giunti alle testate giornalistiche nazionali. “Era instancabile, non dormiva mai” racconta chi ha avuto modo di conoscerlo in prima persona come uno dei corrispondenti di Peacertepoter. Puntuali le sue corrispondenze arrivavano, tra gli altri, alla redazione del Manifesto, restituendo al lettore quella che della guerra è la faccia più vera e la peggiore: l'agonia dei civili, i bambini massacrati, i feriti lasciati morire per le strade perché le ambulanze non riescono a soccorrerli...
“Restiamo umani” era la frase, quasi l'invocazione, con cui era solito chiudere tutti i suoi scritti, fossero post impaginati su FB o sul blog guerrillaradio, fossero lunghi articoli.
E leggendo l'orrore nei suoi racconti c'era da chiedersi come lui stesso riuscisse a “restare umano” nonostante tutto. Chi lo ricorda oggi, cita innanzitutto il suo impegno quotidiano nella difesa dei più umili, dei contadini e dei pescatori di Gaza, bersagliati dal fuoco israeliano mentre cercano di sopravvivere raccogliendo prezzemolo o pescando al largo. Una persona coraggiosa, si legge da più parti, un vero eroe dei nostri tempi, uno capace di saltare su un'ambulanza durante i bombardamenti di Piombo fuso per andare a recuperare i feriti per le strade, la cui unica arma era data dall'amore per il popolo palestinese, quel popolo che era ormai la sua gente e che lo amava.
Per il suo impegno era stato anche minacciato fino al punto di essere inserito in una sorta di black list pubblicata sul sito internet stoptheism ( ancora attivo) con tanto di foto segnaletica e dettagli personali, quale bersaglio numero uno da abbattere, insieme ad altri volontari dell'ISM ( International solidarity movement). Ma la cosa non lo aveva minimamente convinto a desistere.
Adesso qualcuno ce l'ha fatta a fermarlo e lo fa fatto per sempre. Una morte violenta che pone tanti e pesanti interrogativi, e getta ulteriore scompiglio in un'area perennemente instabile... a pochi giorni dall'assassinio di un altro pacifista Juliano Mer Khamis, a Jenin e in attesa della partenza della Freedom Flotilla 2.
E mentre c'è chi continua a bollarlo come l'Hamas italiano, i messaggi a lui indirizzati da amici, o persone che semplicemente lo leggevano, contengono una sola semplice parola: grazie!
E quel muro lo aveva bucato durante l'operazione Piombo fuso, quando i suoi racconti erano giunti alle testate giornalistiche nazionali. “Era instancabile, non dormiva mai” racconta chi ha avuto modo di conoscerlo in prima persona come uno dei corrispondenti di Peacertepoter. Puntuali le sue corrispondenze arrivavano, tra gli altri, alla redazione del Manifesto, restituendo al lettore quella che della guerra è la faccia più vera e la peggiore: l'agonia dei civili, i bambini massacrati, i feriti lasciati morire per le strade perché le ambulanze non riescono a soccorrerli...
“Restiamo umani” era la frase, quasi l'invocazione, con cui era solito chiudere tutti i suoi scritti, fossero post impaginati su FB o sul blog guerrillaradio, fossero lunghi articoli.
E leggendo l'orrore nei suoi racconti c'era da chiedersi come lui stesso riuscisse a “restare umano” nonostante tutto. Chi lo ricorda oggi, cita innanzitutto il suo impegno quotidiano nella difesa dei più umili, dei contadini e dei pescatori di Gaza, bersagliati dal fuoco israeliano mentre cercano di sopravvivere raccogliendo prezzemolo o pescando al largo. Una persona coraggiosa, si legge da più parti, un vero eroe dei nostri tempi, uno capace di saltare su un'ambulanza durante i bombardamenti di Piombo fuso per andare a recuperare i feriti per le strade, la cui unica arma era data dall'amore per il popolo palestinese, quel popolo che era ormai la sua gente e che lo amava.
Per il suo impegno era stato anche minacciato fino al punto di essere inserito in una sorta di black list pubblicata sul sito internet stoptheism ( ancora attivo) con tanto di foto segnaletica e dettagli personali, quale bersaglio numero uno da abbattere, insieme ad altri volontari dell'ISM ( International solidarity movement). Ma la cosa non lo aveva minimamente convinto a desistere.
Adesso qualcuno ce l'ha fatta a fermarlo e lo fa fatto per sempre. Una morte violenta che pone tanti e pesanti interrogativi, e getta ulteriore scompiglio in un'area perennemente instabile... a pochi giorni dall'assassinio di un altro pacifista Juliano Mer Khamis, a Jenin e in attesa della partenza della Freedom Flotilla 2.
E mentre c'è chi continua a bollarlo come l'Hamas italiano, i messaggi a lui indirizzati da amici, o persone che semplicemente lo leggevano, contengono una sola semplice parola: grazie!
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