di Barbara Scaramucci
Fulvio Molinari era un maestro di giornalismo inteso nel senso più completo del termine: era un grande organizzatore e un eccellente capo, ma anche uno straordinario inviato sul campo e un arguto commentatore, libero e onesto, mai condizionato da interessi di parte.
Fin dagli anni ’60 Molinari era uno degli animatori di quel gruppo di intellettuali e giornalisti, fra i quali Botteri e Ceschia, che animarono la cultura triestina e di quell’Italia dai confini tormentati di cui erano stati in qualche modo protagonisti in prima persona. Fulvio era fuggito dall’Istria con i genitori quando aveva solo sette anni e come tutti quelli che la morte in faccia l’hanno vista fin da bambini aveva una sorta di ironia nei confronti della vita e la capacità di amarla più degli altri.
E’ un grande dolore la sua scomparsa, lo è moltissimo per me che l’ho avuto a fianco avuto come vice direttore nel mio anno di responsabile della Testata Giornalistica Regionale della Rai e che ricordo non solo come un grandissimo professionista ma come un uomo leale, generoso, trasparente.
Non potrò mai dimenticare il tormento di Fulvio quando furono uccisi a Mostar Luchetta, Ota e D’Angelo, il dolore di quella gelida notte in cui aspettavamo insieme le bare all’aeroporto di Trieste e lui non sapeva darsi pace, si rimproverava di non avergli raccomandato abbastanza la prudenza, pur sapendo che la prudenza a volte contrasta con la voglia di fare autentico giornalismo sul campo di battaglia, come nel caso della guerra nella ex Jugoslavia che Fulvio aveva seguito anche in prima persona come inviato. E sono indelebili nella mia memoria le immagini della interminabile fila di persone, di cittadini di Trieste, che rendevano omaggio ai colleghi uccisi e ringraziavano la Rai per il lavoro che faceva e che loro, utenti affezionati soprattutto del TG regionale, riconoscevano come un vero servizio pubblico.
Molinari era una delle colonne degli anni migliori della Rai, quando l’editore di riferimento erano prima di tutto gli utenti, i cittadini ai quali il giornalista nel suo quotidiano lavoro in redazione pensava di dover rendere conto fornendogli le notizie, le analisi, i dati, e i commenti perché si conoscessero i fatti e ciascuno avesse gli elementi per farsi una propria opinione. Un tempo che non esiste più, un mestiere che Fulvio aveva lasciato senza nostalgie, con la sua allegra laicità, continuando a scrivere, ma soprattutto libri, e a spendere le sue energie per il mare, con il suo impegno per la celebre “Barcolana” di Trieste. Voglio immaginarlo ora navigare felice e abbronzato in mare aperto verso orizzonti felici.