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Articolo 21 - Editoriali
Genova, 10 anni dopo... qualcosa è cambiato
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di Bruna Iacopino

Genova dieci anni dopo ha un volto diverso. Come una madre allarga le braccia ad accogliere i figli che dopo tanti anni hanno deciso di farvi ritorno. Figli feriti, umiliati, offesi, aggrediti, bastonati, torturati. Figli di tutte le età e provenienze geografiche, figli dispersi per i suoi vicoli, gli stessi figli che nel luglio del 2001 qualcuno ferocemente le aveva impedito di proteggere. Genova 2011 è una città aperta, con i suoi dedali multiculturali; la zona rossa è un brutto ricordo del passato che a molti però fa ancora male. La percorri a piedi senza guardarti alle spalle, perchè sai che nessuno potrà colpirti con una manganellata di quelle che spezzano le ossa e fiaccano i muscoli. Già il venerdì sera le strade si riempiono di gente munita di zaino e sacchi a pelo, in molti andranno a dormire nei punti predisposti per l'accoglienza, si rimane in giro fino a notte fonda, i locali ancora aperti vengono presi d'assalto dagli affamati dopo un viaggio durato ore. Poi il riposo notturno, in vista del corteo del sabato pomeriggio, un corteo della memoria aperto dallo striscione “ A voi la crisi a noi la speranza”. Poco sembra essere rimasto di quel “Un altro mondo è possibile” strillato forte dieci anni fa, urlato anche in mezzo al fumo dei lacrimogeni. Tante, troppe cose sono successe nell'arco di questi 10 anni, troppe ferite sono state aperte senza mai rimarginarsi. C'è il peso della memoria, di una giustizia non fatta, c'è l'impunità di coloro che si sono macchiati di crimini indegni di un paese democratico, c'è la morte di Carlo Giuliani che aleggia come un fantasma senza pace e il cui ricordo vive tra la folla radunata sabato 23, rivive nella musica e nei cori. Lentamente, a gruppi si raggiunge il luogo del concentramento. Il percorso è marcato dalle serrande chiuse e dai cassonetti rigorosamente lasciati aperti per impedire il posizionamento di chissà quali improbabili ordigni. Gli unici che disubbidiscono alla strategia del terrore sono i venditori di kebab pronti a sfamare i manifestanti arrivati all'ultimo secondo prima della marcia. Il silenzio sembra avere la meglio. 10, 15.000 inizia il solito balletto dei numeri rilanciato dai media locali e nazionali. Il corteo sfila tranquillo, fin troppo tranquillo e pacifico fino a piazza del Caricamento. Tante le bandiere, colorate, i partiti della sinistra cosiddetta alternativa, le associazioni, ma anche lo striscione del referendum per l'acqua e loro, i No tav, il gruppo forse più numeroso e rumoroso; in testa le donne a reggere lo striscione della Valle che resiste e non si arrende. Qualcuno spolvera la maglietta di 10 anni prima, qualcuno che allora era uno studente, magari minorenne e adesso si ritrova già adulto, con un lavoro precario, alcuni con famiglia a seguito. “Scendi in strada Genova, non ci sono black bloc qui, i black bloc sono un'invenzione della stampa” strilla un megafono, ma non convince chi ai lati della strada rimane fermo a guardare in attesa che il lungo corteo si esaurisca e tornino a passare gli autobus di linea. Si cammina lentamente, sotto un sole solo a tratti coperto da rade nuvole che diverranno pioggia solo in tarda serata. C'è un alone di nostalgia che sembra depositarsi ad ogni passo. Le forze dell'ordine osservano da lontano, ben nascoste, l'elicottero sorvola alto la città.
Camminiamo per poche ore, fino all'arrivo in piazza e poi la sosta e gli interventi dal palco. Tra i primi interventi la lettera arrivata dei comitati della Val Susa rianima la folla e strappa l'applauso più sentito. Si rimane ancora in piazza a chiacchierare a ricordare, a discutere del presente, la tragedia di Oslo tiene banco...
Ci si rivedrà la domenica mattina in assemblea plenaria per tracciare le coordinate di future mobilitazioni, dopo la pausa estiva, per l'autunno che si prospetta buio.
Qualcosa, tanto è cambiato da quel luglio 2001...
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