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Articolo 21 - Editoriali
A nessuno conviene investire in sicurezza sul lavoro
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di Massimiliano Pratelli*

Riceviamo e di seguito pubblichiamo la lettera di Massimiliano Pratelli, figlio di Carlo, morto nel 2006 in seguito da un incidente sul lavoro, il 28 ottobre al processo di primo grado, otto dei nove imputati sono stati dichiarati colpevoli.

Il 28 Ottobre 2011, il giudice ha dichiarato in primo grado colpevoli otto dei nove imputati nel processo per l'incidente di mio padre, Carlo Pratelli, morto il 26 giugno 2006 per il ribaltamento di tre casse di vetro, sei tonnellate in tutto che non gli lasciarono scampo.
I responsabili dissero subito, come da copione, "è stata colpa sua".
Queste prime dichiarazioni infiammarono la mia famiglia, che oltre al dolore dovette sopportare fin da subito lo spettro dell'umiliazione, l'ignoranza di coloro che un attimo prima dell'incidente si dicevano "come fratelli" di mio padre.
Che dire, è andata bene?
La sentenza ci soddisfa per com'è andata, nel senso che ci sono state le condanne, due anni al datore di lavoro Franco Mancini, due anni al responsabile della Saint Gobain logistic, il francese Pascal Canton.
Il resto dei responsabili ha avuto condanne minori, a scalare fino a sei mesi con le condizionali del caso.
Tanto? Poco? Mio padre non c'è più ed è senza dubbio lui che ha avuto la peggio. Giudicate voi.
Ci è piaciuto il PM che ha fatto un gran lavoro, in particolare di ricostruzione delle miriadi di società che ruotano intorno al nome Saint Gobain.
I nomi di tali società cambiano anche solo per una sigla: non è possibile dirle a voce da quanto è complicato, bisogna necessariamente leggere gli atti per capirci qualcosa.
Tutto questo ha avuto e continua ad avere uno scopo ben preciso: confondere.
Ci è piaciuto il giudice, che ha sempre mostrato impegno nel voler velocizzare il processo e non si è lasciato abbindolare dalle "finte lacrime" di qualche imputato durante le testimonianze.
Dovevamo necessariamente avere fiducia nella giustizia, era l'unico modo per andare avanti.
Sappiamo benissimo che nessuno farà un solo giorno di carcere e la maggior parte di loro non avrà nemmeno la fedina penale sporca. Forse è andata bene a loro? Direi proprio di si.
Durante il processo la mia famiglia sapeva di dover mordersi la lingua nell'ascoltare i vari tentativi di dare la colpa dell'incidente a mio padre. Lo sapevamo, più colpa cadeva su di lui, meno sarebbe stata quella per ciascuno degli imputati.
Alla fine però si è toccato il fondo: l'avvocato della ditta Mancini ha cercato in tutti i modi, molti dei quali scorretti e inutili dal punto di vista umano, pieni di falsità, di far passare mio padre da "coglione".
Nel dibattimento finale hanno messo in scena un teatrino ridicolo perfino agli occhi dei loro colleghi.
Per cercare di dimostrare la sua colpa hanno perfino tirato fuori (secondo loro dal cilindro) il referto del medico legale che evidenziava una lussazione al braccio di mio padre che avrebbe dimostrato la sua responsabilità senza ombra di dubbio: Pagliacci!
Mio padre è rimasto sotto sei tonnellate, dico sei, seimila chili di vetro: vi attaccate ad una lussazione al braccio? Esiste un limite a tutto. Dopo una vita passata a lavorare per loro: Vergognatevi!
Fate due conti: conviene investire nella sicurezza? E' facile: NO.
Il risarcimento dei danni avrà probabilmente un monte inferiore ai 500 mila euro e sarà deciso nel procedimento civile, forse tra una decina di anni.
Dividete il monte, più le spese processuali per una quindicina di anni, durata ottimisticamente ipotizzata di tutto il processo penale e civile, otteniamo per eccesso una somma di circa 40 mila euro.
Cosa rappresenta questa cifra annualmente per una media azienda? Niente. E lo capisce una bambino alle elementari.
Figuriamoci per una grossa come la Sanit-Gobain.
E allora? Conviene investire in sicurezza?
Tutti gli altri discorsi sono parole al vento e saranno inutili fino al momento in cui qualcuno non avrà il coraggio di dare la giusta consistenza alle pene.
Oggi, come troppo spesso succede in questo paese, continuiamo a prenderci in giro con una sempre consistente dose d'ipocrisia.
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