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Articolo 21 - Editoriali
Avanti popolo, serve una scossa
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di Kalimero

L’art. 138 della Costituzione stabilisce i modi per la modifica dei suoi stessi articoli imponendo un percorso complesso, se non tortuoso, pur di imporre la più sobria delle meditazioni. Ma l’art. 139 afferma che la forma repubblicana non può essere modificata.
Gli studiosi sono unanimi nel considerare che il divieto non riguarda solo l’art. 1, secondo cui “L’Italia è una Repubblica …”, ma riguarda tutte quelle caratteristiche senza le quali una repubblica non è riconoscibile, in primo luogo la divisione dei poteri che la Rivoluzione francese attinse all’opera di Montesquieu L’Estrit des lois che già era stata preceduta, nell’intuizione, da Platone, col De Republica, e da Aristotele col De Politica.
La suddivisione dei poteri istituzionali tra il potere esecutivo, quello legislativo e quello giurisdizionale è, dunque, un meccanismo di pesi e contrappesi senza il quale la repubblica rischia di non essere riconosciuta come tale e, sotto questo profilo, la legge elettorale porcellum ha un indubbio carattere di incostituzionalità perché, assoggettando la nomina dei parlamentari ad un pugno di segretari politici, che a loro volta esprimono anche l’esecutivo, sostanzialmente fa venir meno uno dei protagonisti della suddivisione dei poteri, mettendo l’uno contro l’altro quello esecutivo e quello giurisdizionale con gli effetti drammatici per le sorti repubblicane che sono sotto gli occhi di tutti.
Mentre, da una parte, un parlamento eletto con il porcellum finisce con l’essere spesso mera cassa di risonanza delle decisioni del Consiglio dei ministri, che può imporre a piacimento la fiducia per trasformare in legge ogni sua fantasia, fosse anche la più strampalata, così come successo già 53 volte in questa legislatura, lo scontro frontale dell’esecutivo con la giurisdizione sta producendo fratture gravissime alla credibilità ed alla legittimazione di entrambi i poteri.
L’eccesso di potere che la legge porcellum ha consegnato all’esecutivo sembra aver dato alla testa ai nostri governanti che, sciolti da ogni vincolo sociale e morale verso gli elettori, hanno offerto un quadro di degrado morale che toglie senso ad ogni parola di deprecazione.
A sua volta il potere giurisdizionale non va esente da critiche.
La Procura della Repubblica ha impegnato quattro suoi importanti esponenti in un’indagine che ha intrattenuto la stampa l’intera scorsa estate senza che si riuscisse a comprendere in virtù di quali elementi la competenza su quell’indagine spettasse a Napoli. Con l’aggravante che magistrati incompetenti per territorio hanno disposto la custodia cautelare di due persone, mentre sospetti gravissimi sono stati sollevati sui magistrati delle sedi ritenute competenti, messi a loro volta sotto accusa da altri magistrati: un cortocircuito della giustizia che si è andato sviluppando proprio mentre, nel quartiere Barra di Napoli, un noto camorrista si elevava a protagonista della festa patronale percorrendo le affollatissime strade del quartiere a bordo di  una Rolls Royce decappottabile e mentre le carceri dell’interna Penisola vengono farcite di immigrati, tossicodipendenti e detenuti in attesa di un giudizio che non finisce mai.
La società civile assiste sbigottita a questi confronti istituzionali, assordata dai clangori dello scontro, e tenta risposte nobili: dalla partecipazione ai referendum, alle riunioni viola, o quelle al femminile del “se non ora quando”.
Ma l’unico che sta prendendo il toro per le corna è il mondo imprenditoriale e non deve stupire che, per primi, scendano in piazza la Presidente di Confindustria Marcegaglia, Mr. Ferrari-Montezemolo, Mr. Tod’s-Della Valle, Mr. Banca-Profumo e lo stesso Fashion-Versace abbandoni gli scranni parlamentari del Pdl per raggiungere il gruppo misto diretto, forse, ai banchi dell’Udc.
Si tratta di persone che muovono le loro imprese sul palcoscenico internazionale, dove l’immagine dell’Italia, rappresentata da personaggi del tutto screditati, moralmente e politicamente, è ormai impresentabile e si riflette negativamente sugli affari.
Nuoce gravemente alla salute dell’economia italiana raccontare che il nostro più stabile uomo politico è Berlusconi perché, così, si manifesta una sostanziale adesione degli italiani alle sue note performance, sia nazionali che internazionali.
L’unica cosa che conta nel mercato internazionale è la credibilità e la serietà dell’interlocutore. Tutti vogliono fare business e nessuno vuole comprarsi una vertenza giudiziaria o perdere l’affare per l’improvviso voltafaccia dell’altro contraente. Su questo fronte l’Italia è da tempo fuori gioco. Chiunque all’estero senta parlare italiano, dà di gomito e, facendo l’occhiolino, esclama “Bunga bunga, eh?”
Quando nelle riunioni internazionali si forma un capannello di statisti e si avvicina il nostro Presidente del Consiglio, c’è sempre uno che avverte gli altri “Zitti, zitti, che arriva Berlusconi”.
La Fiat sembra poco entusiasta della reazione degli altri imprenditori, ma è stata la prima a subire gli effetti della presenza di Berlusconi sulla scena politica sin dall’inizio della globalizzazione nei primi anni Novanta. Da subito, infatti, tra una Golf e una Punto, il pubblico europeo non ha avuto dubbi. E la Fiat, alla fine, ha dovuto scegliere di lasciare il baricentro italiano per presentarsi sul mercato mondiale con un’etichetta meno legata al Belpaese di cui, ovunque, si continua a ricordare soprattutto la Mafia, la pizza e gli spaghetti.
Facciamo un atto di umiltà e proviamo a guardarci con gli occhi di un francese, di un inglese o di un tedesco.
Se avessimo in casa un nonno che, come Berlusconi, dilapida ricchezze enormi per correre a appresso a fanciulle sgarzoline, pronte a vendersi anima e corpo per una particina in TV o uno strapuntino politico, correremmo a chiedere l’amministratore di sostegno e l’otterremo con facilità, tanto la malattia appare evidente.
Invece noi italiani gli abbiamo messo in mano i nostri destini.
E mica solo a lui, ma pure a Bossi, la cui palese affezione comporta che tutti gli dicano di si. Qualunque sciocchezza dica, gli dicono di si. Gli dicono di si anche alla secessione del Nord facendo gli scongiuri perché non avvenga mai, in un mondo in cui la concorrenza la fanno gli ordinamenti che, o si rafforzano unendosi, tanto che ormai si parla degli Stati Uniti d’Europa come dell’unica vera speranza di salvezza, oppure soccomberanno senza alternative.
Non può sfuggire a nessuno che l’Europa, in effetti, fa da amministratore di sostegno al nostro governo tuttora in mano a due malati come Berlusconi e Bossi.
Aggiungiamo che la camicia di forza di questi arzillissimi malati è affidata al Presidente Giorgio Napolitano - che Dio ce lo conservi - ma che ha 87 anni.
Il nostro modello di uomo politico, nel bene come nel male, continua a rimanere l’impareggiabile Giulio Andreotti. Che ha 91 anni. 
Dietro questi campioni, sani e/o malati che siano… non c’è nessuno.
Avanti popolo ! Serve una scossa !       

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