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Articolo 21 - Editoriali
La RAI per le donne
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di Nella Condorelli*

Una “struttura leggera”, definizione che nell’organizzazione interna di lavoro della RAI è come dire un reparto produttivo snello, dotato delle competenze necessarie, dall’ideazione alla realizzazione di un prodotto informativo, con costi contenuti, e destinato ad un pubblico mirato. Nel nostro caso, le donne.
E’ la proposta di sintesi del dibattito su “quali azioni mettere in campo” per un nuovo corso della rappresentazione femminile nel servizio pubblico radiotelevisivo, promosso dall’Appello Donne e Media presso il Parlamentino del Ministero dello Sviluppo economico, lo scorso 24 novembre.
A far da cornice ai lavori, il contratto di servizio pubblico 2010 - 2012 siglato mesi addietro tra l’azienda ed il suo referente, il ministero delle Comunicazioni, ed entrato in vigore il 27 giugno con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Contratto che contiene i 13 emendamenti proposti dal cartello di firmatarie e firmatari del’Appello lanciato da Gabriella Cims e dalla CPO del Ministero dello sviluppo economico presieduta da Mirella Ferlazzo.
Elaborati da un gruppo ristretto di esperte che vi ha lavorato per mesi, e tra loro Flavia Barca della Fondazione Rosselli, Elisa Manna del Censis, Graziella Rivitti del Ministero dello Sviluppo economico, Teresa Chironi dell’Enea, e chi scrive, gli emendamenti riguardano una serie articolata di interventi  che vanno dalla definizione del principio di genere come strumento per il generale riequilibrio della presenza femminile nel servizio pubblico, al monitoraggio per la verifica della sua applicazione, alla necessità di una programmazione specificamente rivolta al pubblico delle donne.


Accolti dalla  Commissione di Vigilanza RAI, che li ha armonizzati ed integrati nel contratto di servizio come parte non secondaria, con il sostegno in particolare dei senatori Vincenzo Vita e Roberto Rao, i 13 emendamenti disegnano “un nuovo corso” per la rappresentazione plurale e non stereotipata delle donne nei programmi d’informazione ed approfondimento della RAI, che ha tutto il sapore delle sfide importanti.
Con un occhio all’Europa, da una parte, che vede molte emittenti pubbliche degli stati membri già attestate su posizioni di recepimento delle direttive comunitarie in tema di immagine femminile e di presenza delle donne nei sistemi mediatici, - pluralità, parità, pari opportunità -,  e dall’altra alla forte domanda di discontinuità rispetto all’oscuramento della realtà femminile che viene espressa da tempo da larghissimi strati dell’opinione pubblica, da forze femminili organizzate e trasversali alle appartenenze politiche, dal grande pubblico televisivo, fatto di donne e uomini, di nuclei familiari, di ragazzi e ragazze alle prese con i modelli del “maschile” e del “ femminile” veicolati dagli schermi tv.
Di tutto questo si è parlato nel corso del dibattito, presenti gli altri la presidente della CPO RAI, e vicedirettrice di RAI Uno, Maria Pia Ammirati, l’assessora al Lavoro della Regione Lazio, Mariella Zezza,  la presidente dell’associazione Pari o Dispare Cristina Molinari, la presidente della CPO USIGRAI Ilaria Capitani, la referente CPO RAI Milano Fabrizia Boiardi promotrice con la presidente dell’associazione milanese “Donne in Quota” Donatella Martini del documento  emerso dal meeting “La Rai ha la missione di rappresentare tutte le realtà. Come vogliono essere rappresentate le donne?” (Milano, 7 luglio 2011), esponenti della CPO RAI e del Consiglio Forense, la vice presidente del Dipartimento Diritti e Pari Opportunità ARS e giornalista di RAI Lazio Stefania Giacomini, ed io stessa nella qualità di presidente del Dipartimento Diritti e Pari Opportunità ARS, e promotrice (febbraio 2011) con Lucia Visca presidente CPO FNSI del “Tavolo Donne nei Media” che collega in rete sinergica associazioni, movimenti, istituzioni di parità, università e mondo della scuola.


Alla domanda centrale posta da Gabriella Cims, “quali azioni mettere in campo adesso”,  per dar seguito ad esempio all’articolo 2, commi 3, 3b e 3p, in cui Rai si impegna a “valorizzare la rappresentazione reale e non stereotipata della molteplicità di ruoli del mondo femminile, anche nelle fasce di maggior ascolto, (…), o a promuovere “un nuovo corso nell’impiego della figura femminile, nel pieno rispetto della dignità culturale e professionale delle donne, anche al fine di contribuire alla rimozione degli ostacoli che di fatto limitano le pari opportunità”, oppure ancora all’adempimento dell'articolo 9, comma 2b, in cui si impegna a programmare nella propria offerta "trasmissioni idonee a comunicare al pubblico una più completa e realistica rappresentazione del ruolo che le donne svolgono nella vita sociale, culturale, economica del Paese, nelle istituzioni e nella famiglia..." -, sono seguire risposte che è possibile raggruppare in due filoni precisi, e fondamentali, di riflessione.
Il primo, che cosa vogliamo, e a cosa stiamo pensando quando parliamo di nuovo corso nella rappresentazione del femminile nella tv pubblica; il secondo, quali strumenti concreti devono essere dispiegati per sostenere quel mutamento di rotta necessario a superare la discriminazione di genere?
Rispetto a quest’ultimo tema, gli interventi si sono concentrati sull’emendamento che prevede un monitoraggio annuale da parte aziendale dell’applicazione del principio di genere nella programmazione, vale a dire la verifica se quanto previsto nel contratto in termini di presenza paritaria uomo-donna sia stato rispettato. Un esempio? La partecipazione ai talk show ed ai programmi di approfondimento politico che ad oggi vedono una presenza straripante di uomini, con il risultato di veicolare nel pubblico un modello basato sulla superiorità dell’autorevolezza maschile nello spazio pubblico, a danno delle donne e dello stesso diritto all’informazione dei cittadini e delle cittadine sancito dalla Costituzione, e della loro possibilità di formarsi un’opinione completa, soprattutto in occasione di appuntamenti elettorali, cuore della democrazia.

*tratto da http://www.womeninthecity.it

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