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Filo spinato sull’articolo 21
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di Ottavio Olita

Filo spinato sull’articolo 21

Una barriera di filo spinato. Dietro, Loris Mazzetti, dirigente Rai, socio fondatore di Articolo 21, l’associazione che si richiama a quel baluardo della democrazia che è la libertà di informare e di essere informati, garantita dalla Costituzione. Nessuna immagine avrebbe potuto rappresentare meglio in “Rai perunanotte” la difficile situazione che sta vivendo l’informazione radiotelevisiva del servizio pubblico e la libertà dei cittadini di sapere, così come il diritto-dovere dei giornalisti di far sapere. Santoro, rivolgendosi al Presidente della Repubblica, senza volerlo “tirare per la giacchetta”, è stato drammaticamente efficace nell’introdurre l’happening di Bologna, di altre 200 piazze di tutta Italia, rilanciato da 40 emittenti locali, da Sky Tg24 e, in differita di un’ora e mezzo, da Rai News 24. Alle parole di Santoro sull’irrinunciabilità di un’informazione autonoma e indipendente in un Stato democratico faceva da costante contrappunto simbolico quel filo spinato sul volto pensieroso di Mazzetti.
 Santoro, come Travaglio, come Floris. Ruoli di trascinatori individuali, sempre più necessari in un’Italia che viene soffocata dallo straripante conflitto di interessi del Presidente del Consiglio, insieme con quei giornalisti che con uguale coraggio, ma con una minore esposizione individuale, per scelta professionale e stilistica, si pongono al servizio di chi viene sistematicamente escluso dai notiziari di maggiore ascolto: i precari, i diseredati, gli immigrati, i poveri. Nessuno meglio di Milena Gabanelli e Riccardo Iacona svolge nell’informazione italiana questo ruolo: nelle loro inchieste l’Italia sommersa, tenuta nascosta per opportunismo o per vergogna. Milena Gabanelli e Riccardo Iacona, esempi di quel giornalismo efficacemente evocato da Gad Lerner il quale ha sottolineato la necessità che non si cada nel rischio di fare battaglie solo in difesa del proprio potere, delle proprie competenze, dimenticando i veri protagonisti, i veri destinatari di questa professione fondamentale che sono i cittadini alle prese con i problemi della crisi economica, dell’incertezza per il futuro dei propri figli, dell’attacco frontale ad un sistema di garanzie sociali costruito proprio in applicazione della Costituzione.
 Sugli spalti del palazzetto dello sport un esempio dell’Italia che è costretta ad arrampicarsi sui tetti per far parlare di sé: le ricercatrici scientifiche  come le operaie del calzificio Omsa. Quel Paese cancellato dal principale giornale televisivo italiano, il Tg1, che, seguendo l’offensivo modello informativo voluto da Minzolini, privilegia l’assistenza psicologica agli animali, rispetto alla lotta quotidiana dei cassintegrati, i cenoni natalizi di Cortina alle mense dei poveri di mezza Italia, l’elaborazione di piatti per pranzi lussuosi ai prezzi della carne e del pesce al mercato. Se Umberto Eco ne avesse voglia, dopo essersi occupato su ben altri livelli della “Fenomenologia di Mike Bongiorno” farebbe bene a rivolgere la sua attenzione a quel che accade oggi. Ne verrebbe fuori una “Fenomenologia di Minzolini-Mignanelli” da arrossire. Questo è il servizio pubblico? Il Trio Medusa, preso in prestito da quell’altro imperdibile appuntamento che è diventato “Parla con me” ha dimostrato, con la consueta ironia e con grande efficacia, com’è ridotto il telegiornale della Rete Ammiraglia. Non a caso Il Trio Medusa, con Serena Dandini e Dario Vergassola, come Riccardo Iacona, Milena Gabanelli e Giovanni Floris sono stati voluti da quel grande direttore di rete che è stato Paolo Ruffini, cacciato per effetto di un altro “Editto Bulgaro”, più sotterraneo e meno pubblico di quello del 2002. Tenuti ora al loro posto con grande coraggio da Antonio Di Bella. Ma come siamo ridotti? Perché dobbiamo essere costretti ad affermare che ci vuole coraggio a mandare in onda programmi ben fatti, intelligenti, visti, capaci quindi di trainare pubblicità? E’ ancora una democrazia liberale la nostra? E quale ricaduta ha sui giornalisti della Rai questo continuo martellamento, le accuse, le minacce, contro chi non è allineato? Quali gravi meccanismi di autocensura si determinano? Se non si riafferma con determinazione la funzione di servizio pubblico della Rai, quindi con la necessità del racconto di tutti gli aspetti del Paese ed anche di tutte le realtà, da quelle più centrali a quelle più periferiche, non ci sarà più bisogno né di questa azienda né di chi ci vuole lavorare in autonomia. “Fuori i partiti dalla Rai”, ha detto Santoro rivolgendosi al Presidente Napolitano, non per difesa della categoria, ma perché si possa essere più liberi di raccontare i cambiamenti, le trasformazioni, le sacche di immobilismo, la corruzione. Dalla parte dei cittadini, quindi, non solo di chi opera nell’informazione, proprio come recita l’Articolo 21 della Costituzione.
 Per riuscire a far questo Santoro è stato costretto a costruire un evento che da un lato è una garanzia per un futuro sempre più minacciato, dall’altra è un rischio per un presente nel quale il nostro Paese non ha ancora adeguate conoscenze e una sufficiente conoscenza del web e delle sue straordinarie potenzialità. Quel che voglio segnalare è un pericolo: che non vogliano sbattere la libera informazione nella nicchia degli ascolti limitati, come già lascia intuire oggi stesso il titolone d’apertura del “Giornale” di Feltri. L’informazione non può e non deve essere elitaria, la democrazia non può essere proprietà privata della maggioranza. Sono le grandi reti pubbliche che devono garantire informazione pluralista: i siti intasati, le richieste di accesso, gli ascolti delle emittenti che hanno trasmesso “Rai perunanotte” sono la migliore dimostrazione di questa fame di sapere che riguarda anche quella parte del paese che non ha un computer, non ha il satellite, ancora non sa cos’è Internet. E guarda caso, quella parte d’Italia è la più povera, la meno colta, la più abbandonata, quella su cui fa più presa la propaganda. Ecco perché accanto alla battaglia per la libertà d’informazione è indispensabile promuovere quel drastico rinnovamento delle coscienze e delle conoscenze - Monicelli, coraggiosamente, l’ha voluto chiamare ‘Rivoluzione’ – che potranno tirarci fuori dal pantano nel quale siamo precipitati nell’ultimo quindicennio. Ma senza illusioni. Sarà tutto molto lento e difficile.

E ora licenziateci tutti - di Giuseppe Giulietti / RAIperunanotte. Cosa cambia per la RAI, i media e Berlusconi, dopo il successo del programma di Santoro - di Gianni Rossi

"Raiperunanotte". Una grande serata di libertà. Marco Travaglio: “gli abbiamo smontato il giocattolo della censura”- di Stefano CorradinoBICE BIAGI: "Straordinario l'evento di stasera: la sensibilità della gente è cresciuta rispetto a otto anni fa"- di Roberto Secci / MICHELE SANTORO: "Il nostro buco nel filo spinato che circonda l'informazione" / VAURO: "La Rai va difesa come luogo dell'informazione pubblica"- di Debora Aru  


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