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Articolo 21 - Editoriali
Ma davvero in Vaticano hanno paura di Celentano?
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di Valter Vecellio

Lo dovrebbero ringraziare, Adriano Celentano, e massimamente chi polemizza con lui. Grazie a quello che unanimemente viene bollato come uno sgangherato attacco al quotidiano dei vescovi “Avvenire” e al settimanale dei paolini “Famiglia Cristiana”, di fatto – e certamente al di là della volontà del “molleggiato” – arriva un provvidenziale (e si spera solo temporaneo) colpo di spugna su tante vicende imbarazzanti che riguardano direttamente il Vaticano; un colpo di spugna su quella lotta senza esclusione di colpi che si consuma nelle stanze d’oltretevere; su quelle che, con un filo di amara ironia un prelato ormai al di fuori dei giochi (ma che li conosce per averli praticati e subiti), definisce “le primarie” per la successione a Benedetto XVI: pontefice anziano e di malferma salute, il cui trono è da tempo conteso. Si spiega così l’impressionante quantità di documenti e di lettere fatte uscire da cassetti e casseforti solitamente inaccessibili, documenti non smentiti e non smentibili accompagnati da una quantità di voci e di indiscrezioni: spesso farlocche, ma comunque rivelatrici dell’intensità dello scontro e la posta in gioco.

“L’Osservatore Romano”, annota un vaticanista attento come Marco Politi, “descrive un pontefice aggredito da lupi, una Curia in cui si manifestano comportamenti irresponsabili e indegni”; e parla di un Joseph Ratzinger deluso e disincantato per quanto accade attorno a lui, preda di una crescente irritazione “nei confronti dell’incapacità del cardinal Bertone di tenere sotto controllo la Curia. E’ un dato nuovo. Che apre nuovi scenari. Scricchiola la poltrona del Segretario di Stato”. Che Bertone sia nell’occhio del ciclone lo vede anche un cieco, e del resto il segretario di Stato vaticano fa del suo meglio per fornire armi e strumenti ai suoi detrattori. 

E’ in corso una lotta di potere senza esclusione di colpi; ma ci sono anche vicende legate alla “roba”: come quelle raccontate da Gianluigi Nuzzi su “la 7” e su “Libero”; o “Ior, colpo di spugna sull’antiticiclaggio”, come documenta Marco Lillo su “Il Fatto”; e quanti altri casi si potrebbero fare.

Poi, ecco che arrivano Celentano, e il festival della canzone di Sanremo; e arriva il “botto” che sappiamo. Per quel “botto”, in Vaticano dovrebbero fare un monumento, a Celentano, altro che gli strali indignati: è una formidabile cortina fumogena. Naturalmente la lotta tra le varie fazioni che si contendono il potere in Vaticano continuerà nei prossimi giorni; è una lotta che si combatte da tempo e dagli esiti ancora incerti. Ma per l’intanto la generale attenzione è rivolta altrove.

Le virulenti reazioni alle affermazioni di Celentano sono però anche la spia di una debolezza. Segno di forza, di potenza, sarebbe stato piuttosto il silenzio, una gelida indifferenza. Ma se il Vaticano ha avuto paura del romanzo di uno scrittore americano, “Il codice da Vinci”, che sarebbe passato inosservato se non avesse beneficiato dello straordinario lancio pubblicitario costituito dalla condanna vaticana, si può credere che anche un cantante incuta timore. Ed è questo, forse, l’aspetto più interessante e meritevole d’attenzione di tutta la vicenda: il forse disperato tentativo di perestrojka di un pontefice anziano e malato, consapevole della fragilità dell’edificio in cui abita e in cui crede; e che si trova a dover combattere proprio contro coloro che dovrebbero essere i suoi “naturali” alleati e sostenitori. Lo scandalo non è tanto quello che ha detto Celentano, quanto i silenzi di tanti che sanno e preferiscono tacere.

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