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"In uno Stato di diritto tutto ciò non deve succedere"
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di Ugo Dinello

"In uno Stato di diritto tutto ciò non deve succedere"

Una maschera di sofferenza. E un testamento delle botte, tante botte, ricevute. Le immagini del corpo di Stefano Cucchi, il trentunenne romano fermato il 16 ottobre a Roma con pochi grammi di droga addosso e restituito alla famiglia cadavere il 23 ottobre, sono raccapriccianti. Un ragazzo fermato non in CentroAmerica ma nella capitale di un Paese che ama definirsi ancora una democrazia, uno Stato di diritto. Un ragazzo portato a casa dei genitori  la notte del fermo, che stava bene, camminava con le sue gambe. Un corpo di ragazzo con un volto che è una maschera di pestaggio, con evidenti emorragie interne, con vertebre spezzate, quello contenuto nel sacco blu dell'obitorio che viene portato davanti al padre e alla sorella.
Cos'è successo a Stefano Cucchi nelle ore immediatamente successive al suo fermo? Alle 12 del giorno dopo, quando compare in aula nel Tribunale di viale Clodio per la direttissima, il papà nota immediatamente i primi segni di un pestaggio: il volto è tumefatto e gli occhi sono pesti. Lo stesso pubblico ministero chiede una visita medica che conferma le violenze con segni evidenti agli occhi e alla schiena. poi un miserabile rimpallo di accuse tra forze dell'ordine a autorità penitenziarie, con ministri della Repubblica che si schierano da una parte o dall'altra.
Anche Gianrico Carofiglio, magistrato, scrittore di casi della vita visti attraverso gli occhi del suo personaggio - l'avvocato Guido Guerrieri -, ma soprattutto senatore membro della Commissione Giustizia, ha visto segni evidenti e si sta preparando a presentare un'interrogazione parlamentare che con ogni probabilità verrà depositata nelle prossime ore. "Sto raccogliendo le informazioni necessarie - spiega - ma mi sembra persino ovvio ripetere che in uno Stato di diritto queste cose non devono succedere".

Quello che colpisce è che un cittadino, un ragazzo fermato per un episodio marginale, e preso in custodia dallo Stato sia morto in circostanze che nessuno sembra aver voglia di chiarire. Qual'è la sua impressione?
"Siamo di fronte a un fatto molto grave, i cui effetti vanno certamente valutati in sede giudiziaria, ma hanno bisogno anche di una approfondita analisi poltica, prima di tutto, e amministrativa per capire cosa è avvenuto e dove eventualmente sia mancato il controllo".
 
A differenza del caso di Federico Aldovrandi, il ragazzo pestato a morte da 4 agenti a Ferrara nel 2005, qui il "bisogno di verità", come l'ha definito la madre di Aldovrandi, è scattato subito. Lo giudica un fatto positivo?
"Resta comunque un fatto estremamente grave e delicato. Per questo vorrei sia chiaro che ogni eventuale interrogazione non andrà a interferire con l'inchiesta giudiziaria che per fortuna è partita subito".


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