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Berlusconi, la Piovra e la P2
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di Attentiallupo

Berlusconi, la Piovra e la P2

Ci vuole buona memoria, la memoria, come diceva Kundera, è una vera nemica del potere.
La memoria serve in questo caso per capire meglio l’autentica ossessione di Silvio Berlusconi per la fiction “La piovra”. E’ utile tornare indietro nel tempo, alla prime quattro serie de “La piovra”, un prodotto che, come tutti scrivono in questi giorni, è stato fino ad oggi il più venduto dalla Rai nel mondo. Le prime quattro serie, quelle con il mitico commissario Cattani impersonato da Michele Placido, hanno avuto una connotazione diversa rispetto alle sei serie successive.

Soprattutto nella prima serie, che con il suo successo determinò probabilmente anche la fortuna complessiva della fiction, la sceneggiatura e la regia di Damiano Damiani avevano una caratteristica fino a quel momento sconosciuta: era un tipo di cinema raccontato, interpretato e girato come un telegiornale, come una indagine giornalistica da TV Sette, per intenderci.

E questa fu anche l’interpretazione dei quotidiani dell’epoca, parliamo degli anni fra il 1984 e il 1989, politicamente anni di governo Craxi e di patti del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani).
Alcuni personaggi ricalcavano in modo molto evidente determinati protagonisti della cronaca dei primi anni ’80, in particolare nelle prime serie era messo a fuoco il ruolo di una sorta di potere occulto e parallelo che si muoveva in connessione con servizi segreti deviati (questo era il linguaggio del tempo) e parti del mondo politico delle maggioranze di allora.

Poco tempo prima era scoppiato lo scandalo della loggia P2 e nel 1984, quando “La piovra” debuttò, si era appena costituita la commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi.
Il professo Laudeo, che nella fiction compare come il “burattinaio” che tesse le fila dei rapporti fra le cosche mafiose e i palazzi romani, e il banchiere Terrasini, che ricicla in Italia e all’estero i capitali della mafia e che di Laudeo è sodale, vengono giornalisticamente identificati come Licio Gelli e Umberto Ortolani.

La finzione è finzione, ovviamente, forse tutta questa dietrologia non c’era né da parte degli sceneggiatori (Ennio De Concini, Sandro Petraglia, Stefano Rulli) né dei registi, ma indiscutibilmente “La piovra” ha determinato nel grande pubblico, più ancora delle inchieste giornalistiche, la convinzione di legami occulti fra la loggia massonica P2, occulta per eccellenza, la mafia siciliana e il potere politico. Ed ha indiscutibilmente fatto capire la ferocia e la violenza della mafia, non fermandosi ai soli esecutori, ma cercando quei legami che forse nessuna inchiesta ha mai chiarito fino in fondo.

E’ utile ricordare anche che “La piovra” subì immediatamente, già al termine della prima serie, pesanti attacchi dalle correnti di maggioranza della DC, portati anche all’interno della Rai dai consiglieri di amministrazione vicini alle componenti che facevano capo a Piccoli e Andreotti. E a questo vanno aggiunti i legami che furono poi portati alla luce dalle inchieste e che vedevano il cosiddetto “faccendiere” Francesco Pazienza in stretto contatto con Piccoli, allora segretario della DC, con Gelli e con il capo del Sisde generale Santovito, piduista.

Era scritto tutto così in chiaro questo ne “La piovra”? No, ma si capiva molto bene il contesto e alcuni riferimenti erano espliciti. Quelle puntate ricompaiono a periodi alterni sulle televisioni di mezzo mondo (le serie sono state comprate da più di 100 paesi) e anche sui canali satellitari italiani, oltre che in DVD in vendita ovunque. Sono ancora un “pericolo” per qualcuno? Si potrebbe rivolgere questa domanda al capo del governo, ma intanto sarebbe utile farle rivedere più spesso, cosa che la Rai di oggi si guarda bene dal fare.


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