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Birmania, alcune domande spinose sulle elezioni farsa
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di Cecilia Brighi

Birmania, alcune domande spinose sulle elezioni farsa

La CISL lancia in questi giorni un appello, al governo italiano, alla UE e al Rappresentante speciale UE per la Birmnia affinchè  sostengano le richieste della opposizione democratica birmana, della leader birmana Aung San Suu Kyi e del sindacato birmano, contro le elezioni militari in birmania che serviranno solo a mantenere viva e immutata una feroce dittatura. L’appello che riprende le richieste di oltre 150  organizzazioni  democratiche birmane, del governo in esilio e del sindacato, può essere sottoscritto sul sito www.birmaniademocratica.org
Dalla “rivoluzione zafferano”, quella dei monaci buddisti, dell’autunno 2007, la situazione in Birmania è andata sempre più peggiorando.  A maggio del 2008, il terribile ciclone NARGIS,  che ha devastato una parte importante del paese, ucciso oltre 140.000 persone e lasciato senza tetto altre due milioni, non ha impedito che la giunta militare costringesse con la forza il popolo birmano a votare a il referendum sulla Costituzione farsa, che getta le basi per le prossime elezioni  dell’autunno 2010. Così  oggi, i  birmani e le loro legittime organizzazioni democratiche si trovano di fronte ad un altro appuntamento farsa: quello delle elezioni. Dalla approvazione della costituzione ad oggi, la situazione interna è solo peggiorata. Si è costruito un processo illegittimo per condannare Aung San Suu kyi a tre anni di carcere, commutati in un anno e mezzo di arresti domiciliari, in modo da tagliarla fuori dalle elezioni; continua la pesantissima violazione dei diritti umani, gli stupri, le uccisioni extragiudiziali, il crescente uso del lavoro forzato e dei bambini soldato, l’espropriazione delle terre, gli attacchi ai villaggi delle minoranze etniche. Violazioni talmente enormi che nel marzo scorso il Rappresentante Speciale ONU per i diritti Umani Quintana, nel suo rapporto al Consiglio ONU per i Diritti Umani ha chiesto che il Consiglio di Sicurezza costituisca una Commissione di indagine  sui crimini di guerra e contro l’umanità.
E’ in questa terribile situazione che l’inaccettabile Costituzione ha posto  le basi per le 5 leggi elettorali recentemente approvate.  Costituzione e leggi criticate innanzitutto dalla leader Aung San Suu Kkyi, dal suo partito e da molti molti governi quali: Stati Uniti, Canada, Australia, Gran Brettagna, Giappone come pure dal Segretario Generale dell’ONU. La Costituzione e queste leggi infatti sono assolutamente al di sotto di qualsiasi standard minimo internazionale. Il Rappresentante Speciale per la Birmania Piero Fassino  afferma, che la comunità internazionale sta esaminando la possibilità di sfruttare queste elezioni invece di rifiutarle,  cogliendole come una opportunità per inaugurare una nuova fase, considerandole quindi come un punto di partenza per continuare la transizione democratica. Certo questa posizione , forse sarebbe praticabile se non fosse che la struttura istituzionale, incardinata nella Costituzione estorta con i ricatti, le minacce e le ritorzioni, impedisce qualsiasi spiraglio per una anche minima transizione democratica, così come le cinque leggi elettorali approvate il mese scorso. Si rischia, in questo modo, anche di lasciare isolata la posizione cristallina della leader birmana Aung San Suu Kyi  e del suo partito.  E questo è un elemento da cui non si può e non si deve prescindere. Da qui bisogna partire: dal sostegno alle legittime richieste dei partiti, dei sindacati e delle organizzazioni democratiche birmane. Come insegna qualsiasi partito e organizzzione democratica: partire dai legittimi rappresentanti. Solo così si può  rafforzare e non diluire o stravolgere l’iniziativa internazionale. Di intesa e non senza dare adeguato sostegno alle organizzazioni rappresentative, birmane e al partito della leader Aung San Suu Kyi.  Va inoltre ricordato che una coalizione staordinariamente ampia composta da oltre 150 organizzazioni, a partire dal governo birmano in esilio, dall’NLD, dal Consiglio Nazionale dell’Unione Birmana, (la più vasta rete di organizzazioni rappresentative, dal sindacato birmano, dalla Lega delle donne, dalle organizzazioni delle nazionalità etniche ) chiedono oggi alla comunità internazionale, proprio il rifiuto di questa consultazione-farsa. Il movimento birmano per la democrazia e i gruppi etnici chiedono un rafforzamento della azione politica diplomatica e delle sanzioni mirate,  per costringere la giunta  ad accettare tre condizioni imprescindibili, affinché le elezioni costituiscano un passo vero verso la democratizzazione e affinché possa essere avviato un processo di riconciliazione nazionale e di autentica democratizzazione. Tre condizioni importanti che dovrebbero anche far parte dell’agenda della UE:
• Rilascio di tutti i prigionieri politici.
• Dialogo inclusivo con i principali rappresentanti dei gruppi etnici e pro-democratici e revisione della Costituzione del 2008.
• Cessazione delle ostilità contro i gruppi etnici e le forze pro-democratiche.

Tali richieste, soprattutto quella attinente l’attivazione di un dialogo per la revisione di parti essenziali della Costituzione, non possono essere ignorate dalla comunità internazionale, una cui parte, forse, spera di ridimensionare la vicenda birmana  una volta che i generali  avranno lasciato le loro divise negli armadi per indossare abiti civili.
Guardando ai punti salienti della Costituzione e delle leggi elettorali sembrerebbe illusorio e miope sperare che le elezioni, in questo contesto così bloccato e incasellato, possano rappresentare uno spiraglio da cui partire per il dialogo.
Vanno infatti ricordati alcuni punti fondamentali. La Costituzione garantisce al regime l’immunità completa rispetto alle violazioni dei diritti umani, passate e future :  “nessuna azione legale può essere iniziata contro i Consigli (SPDC e lo State and Law Order Restauration Council) o alcun loro membro o membro del governo, in riferimento ad atti effettuati in attuazione dei loro rispettivi obblighi” mettendo al sicuro anche per il futuro i militari e la loro cricca. I militari  continueranno ad essere al di sopra della legge e non si assegna alla Corte Suprema alcuna giurisdizione sulle forze militari,  potere che rimane solo in nelle mani del Comandante in capo che può dichiarare lo “stato di emergenza” e imporre la legge marziale. I singoli articoli assegnano all’esercito il potere esclusivo durante il periodo di legge marziale.  Il lavoro forzato potrà continuare come condanna in casi di violazione delle leggi, mentre la libertà di organizzazione sarà comunque subordinata alla sicurezza nazionale, la cui granzia rimarrà in mano ai militari.
Ma il dato fondamentale che i  governi devono tenere in conto,  quando dicono che “le elezioni possono rapprentare una occasione” sta nel fatto che qualsisasi cambiamento della Costituzione sarà  praticamente impossibile senza il consenso dei militari. Questi, grazie alla Costituzione occuperanno il 25% dei seggi del Parlamento nazionale, dei Parlamenti statali e regionali e  costituiranno il blocco che condizionerà il processo legislativo. Per approvare o respingere un emendamento costituzionale o un disegno di legge ci sarà bisogno del  loro consenso. Il Comandante in Capo avrà il completo controllo sulla politica e sulla spesa in materia di difesa e su tre ministeri chiave: difesa, interni e affari di confine. Infine i militari non avranno bisogno della approvazione  del parlamento per la approvazione delle leggi  su difesa o sicurezza.
In queste condizioni, come si potrà ritenere che le elezioni possono  rappresentare comunque l’avvio di cambiamento? Con quale parlamento le istituzioni internazionali si confronteranno a elezioni fatte, se la Costituzione e la legge elettorale hano impedito al maggior partito di opposizione, alla sua leader storica e agli oppositori in carcere di registrarsi e di candidarsi? Si può forse chiudere un occhio  su un fatto così grave per la  democrazia? La maggior parte dei partiti che si stanno presentando sono figli o alleati della giunta. Come la USDA, e le altre organizzazioni paramilitari foraggiate ampiamente dalla giunta che dal 2008 stannno facendo indistrurbate la loro campagna elettorale. Come avrebbe potuto l’NLD accettare di registrarsi, se la legge sulla registrazione vieta di formare o di far parte dei partiti  a coloro che sono detenuti e condannati, a chi è associato a organizzazioni  proibite, ai monaci buddisti e ai membri di altri ordini religiosi, ai funzionari pubblici, ai  cittadini sotto i 25 anni?
Come si può pensare che queste elezioni possano essere un punto di partenza se la Commissione elettorale sarà guidata da un ex General Maggiore e giudice militare e composta da soggetti selezionati accuratamente dalla giunta, con il potere di sospendere, negli stati etnici, le elezioni per motivi di sicurezza? Queste sono solo alcune delle questioni che dovrebbero far riflettere la comunità internazionale e soprattutto la UE e il nostro paese, che sino ad oggi è stato silente.  La comunità internazionale pur in questa difficile empasse non è senza strumenti.
L’appello CISL individua un percorso possibile, sostenuto dal sindacato internazionale e da tutte le organizzazioni birmane e chiede che il governo italiano, il Parlamento, il Rappresentante Speciale UE assumano le richieste dei birmani democratici, si consultino con loro, e condizionino la accettazione delle elezioni alla attuazione dei tre punti; che  la UE decida un rafforzamento delle sanzioni economiche mirate, con l’inclusione dei settori finanziari ed assicurativi, vietando nuovi investimenti e attuando procedure di controllo certe  ed efficaci. Quello  dei controlli è veramente un  punto chiave che permetterebbe di colpire chi in Europa viola le sanzioni o usa la triangolazione. Le sanzioni dovrebbero essere applicate poi secondo modalità flessibili, a seconda degli sviluppi positivi o negativi del processo politico; che la UE promuova le legittime richieste dei birmani nei negoziati con i paesi asiatici, individuando anche nuovi strumenti di negoziali, soprattutto con i paesi quali Cina, India, Russia, che sostengono la giunta militare birmana; che la UE si adoperi attivamente perché il Consiglio di Sicurezza ONU approvi un embargo globale sugli armamenti verso la Birmania; che la UE appoggi la raccomandazione del Relatore Speciale ONU per i Diritti Umani in Birmania, per la costituzione di una Commissione d’Inchiesta del Consiglio di Sicurezza, sui crimini di guerra e contro l’umanità, perpetrati dalla giunta. Tutti sanno che la situazione è complessa e che le possibilità di convincere la giunta a voltare pagina, sono molto, molto esili. Ma certo non è con le scorciatoie che si otterrà  il cambiamento o l’apertura del dialogo.

* Dipartimento Internazionale CISL
www.birmaniademocratica.org


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