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Carcere: tra suicidi e "bavagli" di cui nessuno parla
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di Bruna Iacopino

Carcere: tra suicidi e "bavagli" di cui nessuno parla L’allarme lo avevano già lanciato da diverso tempo. Con l’arrivo del caldo la situazione sarebbe diventata esplosiva e incontrollabile, avevano sostenuto i sindacati di polizia penitenziaria. I fatti adesso sembrano dar loro ragione. Nel solo mese di giugno sono stati ben 7 i suicidi registrati all’interno delle carceri italiane, l’ultimo ieri presso l’istituto penitenziario di Padova. Santino Mantice, 30 anni, sceglie di impiccarsi a tre mesi dalla fine della pena. A renderlo noto è l’Osservatorio delle morti in carcere tenuto da Ristretti. Che ricorda anche : ''Dall'inizio dell'anno sono gia' 29 i detenuti suicidi per impiccagione, mentre 6 sono morti asfissiandosi con il gas delle bombolette. Il suicidio di Santino Mantice e' il 590esimo avvenuto nelle carceri italiane dal 2000 ad oggi''. Il 28 giugno un altro suicidio si è registrato nel carcere di Giarre, in Sicilia, impiccato alle sbarre della finestra del bagno, avrebbe finito di scontare la pena nel 2012, il suo nome era Marcello e aveva 37 anni. Particolarmente controverso il caso di Y.A., il ragazzo marocchino di 22 anni, arrestato per rissa e impiccatosi negli stessi giorni presso la camera di sicurezza della Questura di Agrigento, forse per paura di essere rimpatriato. In merito a questo caso l’associazione A buon diritto è stata riconosciuta parte offesa nel procedimento penale aperto dalla Procura di Agrigento. “Da che mondo è mondo, da che questura è questura, da che caserma è caserma – scrive Luigi Manconi sul sito di a buon diritto- chi viene rinchiuso in una camera di sicurezza viene privato della cintura, dei lacci delle scarpe e di qualunque altro oggetto o indumento che possa prestarsi ad atti di autolesionismo e, in particolare, all’impiccagione. Se è vero quanto si apprende da fonti interne alla questura di Agrigento, Y. A., 22 anni, marocchino, si sarebbe tolto la vita in una camera di sicurezza del locale questura impiccandosi con la propria cintura. Eppure le disposizioni relative al trattenimento degli arrestati sono tassative. Perché non sono state rispettate ad Agrigento?”
Il tutto a pochi giorni di distanza dal suicidio, questa volta a Bolzano di un uomo di 47 anni, in semilibertà che dopo 14 anni di carcere aveva deciso che dietro le sbarre non ci sarebbe più tornato. Ha scelto un albero e vi si è appeso.
Numeri da bollettino di guerra quelli comunicati da Ristretti: 590 suicidi dal 2000 ad oggi su 1.695 decessi in totale. Intanto il tetto della popolazione carceraria ha subito l’ennesima impennata raggiungendo cifra 68 mila, con picchi diversi in termini percentuali da regione a regione.  A circostanziare i dati, è la Uil penitenziari che denuncia, anche in questi giorni: “…in tutte le regioni si è superata la quota massima di ricettività e… il 100% delle strutture presenta un sovradotazione delle presenze rispetto al consentito. ” Con la seguente ripartizione livello regionale: “Emilia Romagna ( 88% ), seguita da : “Puglia (77%), Veneto (75%), Calabria (65%), Friuli (61%), Lombardia ( 60%) , Sicilia (58%), Basilicata e Trentino (54%), Liguria (53%), Piemonte (50%), Umbria (49%), Campania (48%), Marche (43%), Lazio e Toscana (36%), Abruzzo (35%), Molise (19%), Sardegna (17%). Caltagirone con l’incredibile indice di sovraffollamento pari al 295% ( presenti 296 detenuti su una capienza max di 75) è l’istituto più sovraffollato d’Italia.”
Ed è lo stesso sindacato che lancia anche un duro atto di accusa contro il “bavaglio”, quello imposto a loro da una circolare del DAP e di cui però nessuno parla ivi compresa la categoria dei giornalisti che proprio oggi, proprio contyro il bavaglio scende in piazza a manifestare: “Nel 1992 – dichiara Eugenio Sarno nel corso di un’intervista pubblicata sul sito dello Uilpa - a Nicolò Amato, l’allora Capo del Dap, chiedemmo di poter attrezzare delle sala‐stampa nelle carceri proprio perché non avevamo nulla da nascondere e nulla da cui nasconderci. Sono passati anni da quella richiesta …. Dal maggio 2009, invece, abbiamo una circolare bavaglio con la quale l’attuale capo del Dap, Franco Ionta, avverte che nessuna dichiarazione può essere resa alla stampa se non preventivamente concordata. Ebbene, per noi questo è oscurantismo! E io mi chiedo perché l’Ordine dei giornalisti non se ne occupi, perché le varie sigle sindacali non ne parlino.”
Un bavaglio reale dunque e che rappresenta uno dei tanti aspetti del problema, di certo non il meno rilevante: diverso sarebbe infatti se il carcere non fosse più ritenuto quel non luogo che oggi invece è nei fatti e l’opinione pubblica venisse resa consapevole di quanto in quei luoghi accade o non accade ( come la mancata applicazione delle norme contenute nell’ordinamento penitenziario). Il pianeta carcere è invece una dimensione sommersa che emerge ( quando emerge) solo nei casi di morti violente o rivolte. Poco o nulla si dice invece dei numerosi casi di sventati suicidi, più di 50 dall’inizio dell’anno, dei tanti agenti feriti più di 100 o degli stessi sanitari, e dei casi, tanti, troppi, di autolesionismo computati da uno studio di Ristretti Orizzonti in 1 ogni 10 detenuti. Stando alle medesime elaborazioni su dati del Ministero della Giustizia, del Consiglio d’Europa, e dell’U.S. Department of Justice “Confrontando... i tassi di suicidio nelle popolazioni detenute dei singoli Paesi  il valore mediano è 7,4 suicidi l’anno ogni 10mila. In Italia, nel triennio 2005 - 2007, il tasso di suicidio è stato pari a 10 casi ogni 10.000 detenuti; nel 2009 è salito a 11,2 e per l’anno in corso sullo stesso livello.”
Una situazione che non poteva certo lasciare indifferenti e che ha spinto anche il Comitato nazionale di bioetica ad approvare nella seduta del 25 giugno scorso il parere dal titolo “Il suicidio in carcere Orientamenti bioetici”. Partendo dal dato relativo all’alto tasso di suicidi, di gran lunga superiore a quelli registrati tra la popolazione libera, e prendendo come punti critici, checché ne dica la politica, il sovraffollamento e l’elevato ricorso all’incarcerazione, il documento chiama in causa la responsabilità collettiva “per rimuovere tutte quelle situazioni legate alla detenzione che, al di là del disagio insopprimibile della perdita della libertà, possano favorire o far precipitare la decisione di togliersi la vita”.  Dunque il sovraffollamento, ma anche la marginalizzazione, che si sostanzia nei mancati percorsi di reintegrazione sociale, una gestione carceraria che, per come è oggi rischia di mortificare la persona umana annientandone i diritti fondamentali. Per chiudere con una serie di raccomandazioni “ alle autorità competenti di predisporre un piano d’azione nazionale per la prevenzione dei suicidi in carcere, secondo le linee indicate dagli organismi europei.”
L’ennesimo richiamo che rischia, come gli altri che lo hanno preceduto, di rimanere solo sulla carta.

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