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Regista iraniano non può lasciare l’Iran per recarsi a Venezia. Giulietti (Art.21): "Gravissimo! Il governo intervenga e la Rai trasmetta un suo film"
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di Marco Curatolo

Regista iraniano non può lasciare l’Iran per recarsi a Venezia. Giulietti (Art.21): "Gravissimo! Il governo intervenga e la Rai trasmetta un suo film"

Jafar Panahi non può lasciare l’Iran. E, soprattutto, non può recarsi a Venezia e presenziare alla proiezione del suo nuovo cortometraggio “The Accordion” (la fisarmonica), in programma oggi nel corso della giornata inaugurale della Mostra del Cinema. Gli organizzatori hanno sperato fino all’ultimo che le autorità della Repubblica Islamica dell’Iran rilasciassero il passaporto e il permesso di espatrio al regista, che è stato detenuto per tre mesi nel carcere di Evin, a Teheran, ed è stato rilasciato su cauzione il 24 maggio scorso. Ma il permesso è stato negato, e Panahi non è potuto partire.
Ad accompagnare “The Accordion” sarà  perciò un videomessaggio che il regista  ha registrato per salutare il pubblico della Mostra. “È un fatto gravissimo e vergognoso – ha dichiarato all’ADNKRONOS Giuseppe Giulietti di Articolo 21 – rispetto al quale non ci si può limitare solo ad una presa d’atto. Chiediamo al governo italiano, tramite il ministro degli esteri Franco Frattini, di attivarsi perché sia consentito al cineasta di essere a Venezia almeno per la cerimonia di chiusura.”
“Il problema – afferma Pietro Marcenaro, presidente della Commissione  straordinaria per la Tutela e la promozione dei diritti umani del Senato - è che la comunità internazionale non può affrontare il dossier Iran solo dall'angolo visuale del pericolo nucleare. La questione della libertà di espressione è almeno altrettanto importante".
Panahi rimane dunque in Iran, almeno per ora, e le autorità di Teheran hanno perso un’occasione per mostrare al mondo un volto diverso e disponibile al dialogo. Quello che arriva è, al contrario, l’ennesimo segnale di chiusura di un regime indebolito dalle lotte intestine, dalla crisi economica (che le sanzioni hanno aggravato) e dal dissenso dilagante nel paese; un regime che, tuttavia, non conosce altra risposta se non la repressione, l’inganno o l’insulto. È storia di questi giorni l’aggressione verbale, di inaudita volgarità,  di cui è stata fatta oggetto Carla Bruni per avere apertamente preso posizione in favore di Sakineh Ashtiani, la donna condannata alla lapidazione perché colpevole di adulterio. I giornali conservatori iraniani, vicini alle posizioni della guida suprema Ayatollah Khamenei, hanno in sostanza accusato la moglie del presidente Sarkozy di essere “una poco di buono priva di qualsiasi moralità, una rovina famiglie”.
La mobilitazione per salvare la vita di Sakineh continua tuttavia in tutto il mondo. Il 9 settembre, proprio al Lido di Venezia, Articolo 21 ha preparato un’iniziativa di solidarietà, coordinata da Ahmad Rafat, in favore suo e di tutte le vittime della repressione nella Repubblica Islamica. Domani, 2 settembre, davanti alla sede dell’ambasciata iraniana in Italia, in via Nomentana 361 a Roma, alle 16.30 si terrà una manifestazione promossa dalla Federazione dei Verdi. Anche in questo caso l’obiettivo è chiedere la salvezza di Sakineh Ashtiani.
La storia di Sakineh ha colpito il mondo per l’efferatezza della pena prevista (la lapidazione) e  per il modo in cui il suo caso giudiziario è stato architettato e gestito dalla magistratura iraniana: l’avvocato della donna, Mohamad  Mostafaei, costretto all’esilio dopo che la moglie e il cognato erano stati arrestati senza motivo; un’accusa di omicidio inventata di sana pianta per rafforzare l’accusa e giustificare la pena; una confessione televisiva forzata (e naturalmente autoaccusatoria) giunta dopo due giorni di torture e condannata da tutte le principali organizzazioni umanitarie internazionali. Eppure Sakineh non è che la punta di iceberg, e il fatto che a Jafar Panahi venga oggi impedito di lasciare il paese ne è la conferma: in Iran la negazione dei diritti fondamentali dei cittadini, l’oppressione di qualsiasi forma di dissenso, la persecuzione degli intellettuali, degli attivisti, dei giornalisti, degli studenti, dei difensori dei diritti umani continua senza sosta. Un intero paese, o per lo meno la parte più viva della sua società civile, è tenuto in ostaggio da una cricca disperatamente abbarbicata al suo potere, e ai giganteschi interessi economici ad esso legati.
La mostra del cinema di Venezia può rappresentare un’importante vetrina internazionale per esercitare nuove pressioni sulle autorità iraniane, sia per la salvezza di Sakineh, sia per chiedere con nuova fermezza all’Iran di rilasciare le centinaia di prigionieri politici attualmente in carcere. Non dimentichiamo che proprio Jafar Panahi venne liberato dopo che Juliette Binoche, davanti alla platea del Festival di Cannes, aveva chiesto il suo rilascio.
Proprio mentre la corsa contro il tempo per salvare Sakineh prosegue, un’altra non meno affannosa si è attivata per chiedere la liberazione immediata ed incondizionata di Shiva Nazar Ahari, una giovane donna di 26 anni, giornalista - bella come il sole e con due occhi fieri che nemmeno il carcere è riuscito a spegnere - che ha dedicato gli anni migliori della sua giovinezza ad aiutare i bambini svantaggiati e a difendere i diritti umani nel suo paese (il sito della campagna in suo favore: http://chrr.biz/shiva/index-en.php). Shiva, che ha conosciuto per la prima volta Evin a diciassette anni, è portavoce del Comitato dei reporter per i diritti umani: una figura chiave, negli ambienti del dissenso in Iran, una persona il cui numero di telefono è noto a tutti coloro che sono, sono stati o potrebbero essere prigionieri politici nelle carceri del regime. Shiva Nazar Ahari è un vero e proprio “angelo dei diritti”, sempre pronta a correre in soccorso delle vittime della repressione e dei dissidenti mandati in galera dalle autorità. Dopo le elezioni del giugno 2009 in galera ci è finita lei, per ben due volte, l’ultima il 20 dicembre scorso. Il 4 settembre prossimo verrà processata con la più temibile delle accuse: Moharebeh, guerra contro Dio. Perché per la giustizia stravolta e deforme della Repubblica Islamica “gli angeli dei diritti” sono nemici di Dio. Si troverà, a Venezia o altrove, qualcuno disposto a spendere una parola per Shiva e a chiedere per lei la libertà che le è dovuta?
Mohammad Nourizad, regista amico di Jafar Panahi, un passato da editorialista di giornali conservatori, non proprio un eroe del dissenso, nei mesi scorsi è finito in prigione per avere scritto tre lettere aperte, molto critiche, nei confronti della guida suprema Khamenei. Rilasciato su cauzione, ha trovato il coraggio per scrivere un’ultimo messaggio al capo spirituale e politico della Repubblica Islamica, immaginando che egli, nel giorno del giudizio, si trovi a rispondere alle contestazioni dei suoi detrattori. “Vorrei che Lei lasciasse un buon ricordo dietro di sé, e che correggesse i Suoi errori – scrive Nourizad a conclusione della missiva – e se mi chiede da dove cominciare Le risponderò così: con un ordine nobile e giusto da parte Sua. Che tutti i prigionieri politici, in carcere senza ragione, possano tornare subito tra le braccia dei loro cari”.
Due giorni più tardi, Mohammad Nourizad è stato riconvocato in prigione.
In Iran, funziona così.

Salviamo Sakineh. 9 settembre iniziativa di Articolo21 al Festival di Venezia - di Ahmad Rafat*Buon compleanno Dr. Zeid- di Marco Curatolo / Domani 2 settembre, manifestazione organizzata dai Verdi sotto l'ambasciata iraniana a Roma 

Firma l'appello "Salviamo Sakineh" 


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