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A rischio il referendum di Abyei, venti di guerra più forti in Sudan
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di Antonella Napoli

A rischio il referendum di Abyei, venti di guerra più forti in Sudan

Il rischio che il referendum per l'indipendenza del Sud Sudan del gennaio 2011 possa saltare è sempre più alto. E le notizie che arrivano da Abyei, i cui residenti contestualmente agli altri sud sudanesi dovrebbero esprimersi sullo statuto della
regione petrolifera situata lungo il confine tra il Nord e il Sud del Sudan, non sono affatto incoraggianti.
Un rappresentante del governo, Al-Dirdiri Mohammed Ahmed, responsabile della questione di Abyei per il Partito del Congresso nazionale del presidente sudanese Omar Hassan Al Bashir, ha annunciato che, a causa di differenze sui criteri di eleggibilità, il referendum non si potrà svolgere il 9 gennaio come previsto dal Comprehensive Peace Agreement. Immediate le reazioni delle autorità di Abyei: Deng Arop Kuol, amministratore capo della regione, ha affermato che "un rinvio del referendum è inaccettabile".  Kuol ha sottolineato che il referendum non può essere rinviato e si deve tenere nella data prevista perché nessuno ad Abyei lo accetterebbe.
Queste schermaglie procedurali che minano il processo elettorale per il voto del 2011, il tentato omicidio dell'arcivescovo cattolico di Khartoum, il cardinale Gabriel Zubeir Wako e le dichiarazioni di Bashir, che di fronte al Parlamento ha annunciato che non accetterà un'alternativa all'unità del Paese, sono solo gli ultimi segnali della crescente tensione in vista del referendum che deciderà l'eventuale separazione del Sud cristiano dal Nord musulmano nel prossimo gennaio.
Nonostante gli appelli per il Sudan del presidente degli Stati Uniti Barack Obama - sollecitato anche da George Clooney già impegnato per la causa del Darfur - e le rassicurazioni del ministro degli Esteri Franco Frattini che i Garanti dell'Accordo di pace del 2005 - tra cui l'Italia - saranno estremamente vigili prima e dopo il voto, l'escalation che sembra destinata a portare a una nuova guerra civile appare inarrestabile.
Gli episodi registrati nelle ultime settimane e gli scontri armati tra le parti contrapposte fanno temere che ci si trovi a cospetto del preludio a una nuova guerra civile.
Le organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani, tra cui Italians for Darfur, continuano a chiedere ai leader mondiali di tenere alta la guardia affinché sia scongiurato un nuovo e più cruento conflitto in un Paese che ha già pagato un tributo altissimo con l'ultra ventennale guerra civile tra Nord e Sud che ha causato la morte di oltre due milioni di persone.
Ma pongono anche l'accento su un'altra questione: sarebbe un errore mettere in secondo piano il Darfur dove nelle ultime settimane si è registrato un aumento delle violenze, aggravando l'insostenibile status quo di oltre 3 milioni di abitanti che sopravvivono solo grazie agli aiuti umanitari. Le ultime notizie che arrivano dalla regione evidenziano che, nonostante non sia più in atto una guerra su vasta scala, la situazione rimane estremamente problematica ed è destinata a peggiorare se la comunità internazionale distogliesse l'attenzione dalla crisi.
Per questo Italians for Darfur si augura sia da monito ciò che è avvenuto dopo la firma del Comprehensive Peace Agreement: tutti gli sforzi e le attenzioni furono concentrati sul Darfur lasciando in tal modo il Sud a se stesso, condannandolo al collasso umanitario di oggi. Ora il dipanarsi del CPA e il conto alla rovescia per il referendum stanno spostando nuovamente l'attenzione dalla regione occidentale del Sudan a favore del Meridione, ripetendo così gli stessi errori del passato e ottenendo lo stesso tragico risultato: il definitivo tracollo della crisi in atto nella regione.

 


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