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Articolo 21 - ECONOMIA
Uomini d’ acciaio veramente diversi da noi
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di Adriano Donaggio

Uomini d’ acciaio veramente diversi da noi Sergio Marchionne, l’ uomo che usa, a secondo di dove va, il passaporto canadese piuttosto di quello italiano, residente in Svizzera (chissà perché mai?), si presenta all’ opinione pubblica del nostro paese a Che tempo che fa di Fabio Fazio. Perché in questa trasmissione? Perché è una televisione non gridata, dice lui. O forse perché in mezz’ ora, con un unico interlocutore, si evita un fuoco di fila di domande serrate, magari non sempre comode, potrebbe pensare un telespettatore incline al sospetto. Fantasie. Ciò che conta è quello che dice lui.
L’ uomo è duro, determinato, ma anche con aperture: vuole portare i lavoratori italiani ad avere lo stesso stipendio che prendono i lavoratori della Mercedes e della Volkswagen. Solo che non si può. Come non si può? Per forza. Siamo in un paese che per efficienza del lavoro è, in una classifica di 139 paesi, al 118° posto; per efficienza  del lavoro poi è al 48°.  Da uno che è abituato ad analizzare dati e presentare bilanci ci si aspetterebbe un’ analsi più articolata. Purtroppo il tempo di una trasmissione televisiva è quello che è. Resta qualche domanda. Siamo a quel punto (vergognoso) della classifica mondiale perché la Fiom non ha firmato l’ accordo di Melfi? Se avesse firmato saremmo più in su? E’ certamente deplorevole e inaccettabile se in uno stabilimento, qualunque esso sia, due volte l’ anno il 50% dei lavoratori sta a casa nello stesso giorno e manda un certificato medico. Il malcostume va contrastato ovunque si manifesti ma, chiarito ciò che va chiarito, è solo questo che rende meno produttiva una fabbrica dove  è ricorrente la cassa integrazione pagata con i soldi dei contribuenti italiani?
Marchionne chiede sacrifici ai “collaboratori” della sua azienda (giustamente lui li chiama così), ma è anche disponibile a fare come hanno fatto in Germania? I lavoratori hanno discusso e valutato i sacrifici, hanno deciso  e negoziato quali accettare e, in cambio, sono entrati del Consiglio d’ Amministrazione. Marchionne è disponibile ad accettare questo terreno di trattativa? E’ disponibile a seguire un esempio europeo dimostratosi, efficace, produttivo, economicamente vincente?
L’ italiano che viene dal Canada e guarda verso il mondo, si è chiesto come mai in Italia su dieci macchine vendute, sette vengono dal resto del mondo? Non è che ci sia un problema di mancanza di modelli vincenti sul piano tecnologico e delle performances? In poche parole, che la progettazione non sia sempre stata brillante?
Anche sul passato  e sul futuro della Fiat, porre qualche interrogativo è legittimo, quasi spontaneoè Come mai il marchio Lancia, gestito da Torino, ha perso così tante posizioni? Che ne è del marchio Alfa Romeo che la Fiat ha voluto per sé con tanta determinazione quando stava per essere acquistato da una società straniera? Come mai il Presidente del Consiglio per avere una macchina adeguata al suo ruolo e alle sue esigenze deve acquistarla da una casa straniera?
Dice l’ uomo dal maglione a girocollo che in America hanno ricevuto dei soldi che stanno puntualmente restituendo e in quel paese quando hai restituito quel che hai ricevuto fai quel che devi fare senza rispondere a nessuno. Calma. Il governo non si intromette sulla politica aziendale, ma restano in piedi tutte le leggi che regolano la vita del Paese. Faccio, a caso, il primo esempio che mi viene in testa. Se negli USA uno viene scoperto ad evadere il fisco, viene condannato, mandato in carcere e non ne esce finché non ha scontato intera la pena. Mica se ne va a spasso perché un giorno ha restituito i soldi che aveva ricevuto.
Sui soldi e  le agevolazioni ricevute dalla Fiat (compresi gli aiuti dati per impiantare e realizzare lo stabilimento di Melfi), secondo lui, integralmente restituiti, ci lasci esprimere qualche modesto dubbio.
E’ rapido Marchionne. Non lo è la storia della Fiat, l’ azienda che favorì in Italia la nascita del sindacato giallo, negli anni Settanta, quando la situazione divenne ingestibile, fu la prima a chiedere la resurrezione del sindacato confederale, dell’ odiata triplice.
Dice Marchionne che lavora 16, sedici ore al giorno. Ne invidiamo la tempra, la resistenza fisica e intellettuale. E tuttavia, lasciando perdere per un momento l’ Amministratore delegato della fabbrica italiana di auto, cui crediamo sulla parola (ma sapesse quanti uomini e donne, finito il turno di lavoro, per tirare avanti la carretta e far funzionare la famiglia, preparare da mangiare, lavare i panni, guardare i compiti dei figli, ascoltare i loro problemi, organizzare la casa, sono costretti a lavorare 16 ore al giorno). Tuttavia, senza volerlo, ci spinge a un’ osservazione su di  un dato di costume. Capita spesso di leggere di capi di governo, di uomini politici, manager, capi di grandi aziende che lavorano 15, 18 ore al giorno. Non ne dubitiamo, ma ci chiediamo: non fanno mai la pipì, non guardano l’ inizio di un telegiornale, non fanno mai una doccia, non mangiano un panino, non fanno un viaggio, in famiglia arrivano e stanno muti? Questi uomini d’ acciaio sono veramente diversi da noi.

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