Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - INTERNI
"Fini è il miglior tattico della politica italiana ma non ha un'idea di Paese, non ha un blocco sociale di riferimento"
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Pietro Nardiello

"Fini è il miglior tattico della politica italiana ma non ha un'idea di Paese, non ha un blocco sociale di riferimento"

Molto tempo prima che avvenisse in seno al Pdl la scissione tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi il giornalista Enzo Palmesano (nella foto), militante dal 1972 al 2002  nelle fila di Msi-Dn e poi di An, concede alle stampe, per Aliberti editore,  l’opera “Gianfranco Fini – Sfida a Berlusconi”. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente in questi giorni in cui il suo libro appare come un importante lavoro che ha precorso i tempi.

Palmesano, ma cosa è successo nel centro destra italiano?
Si è giocata una partita per la successione a Berlusconi e Fini ha perso. Quando l'ex leader di An ha capito che non sarebbe mai stato il nuovo capo del centrodestra ha messo in atto una guerriglia senza esclusione di colpi, ampiamente ricambiato dalle preponderanti truppe berlusconiane. Da sempre Fini ha ritenuto di dover essere lui il capo, il politico autentico. Per molti anni – in attesa della successione sperata - ha votato tutto e il contrario di tutto, facendo finta di non vedere il mastodontico conflitto d'interesse di Berluconi, dando il via libera a tutte le leggi ad personam. Il centrosinistra, desideroso legittimamente di mandare a casa Berlusconi, a sua volta fa finta di nulla su Fini, ma a giudicare dai sondaggi gli elettori non si fanno incantare dal “nuovo” Fini, le cui manovre sanno molto di vecchia politica, di Palazzo, di berlusconismo senza Berlusconi e senza il sostegno del blocco sociale moderato che ha scelto il Cavaliere ritenendolo un male minore, in funzione anti-comunista e anti-sinistra. 

Tu conosci bene le dinamiche interne al Partito di Gianfranco Fini perché un tempo ne hai fatto parte passando alla storia con quello che fu definito “l’emendamento Palmesano”, un documento con il quale si condannava l’antisemitismo e l’antiebraismo. Come andò a finire?
Per me andò a finire molto male: al congresso di Fiuggi, il 27 gennaio 1995, con l'approvazione del mio documento di condanna dell'antisemitismo,  dell'antisionismo e delle leggi razziali, nel partito di Fini gli antisemiti scomparvero tutti, all'improvviso, ma gli anti-Palmesano diventarono un esercito. Gente con la quale avevo fatto politica per decenni, mi tolse il saluto. Fu il mio totale annientamento politico e anche professionale, visto che la mia attività giornalistica si era svolta soprattutto nell'ambito del Msi-Dn e di An. Ne trassi la conseguenza che An non voleva veramente uscire dal tunnel del neofascismo. Non a caso, Fini non ha mai voluto eliminare la fiamma fascista dal simbolo del partito, rispondendo in maniera sprezzante alla mia proposta. Si scontrarono due visioni inconciliabili: la mia, di fuoriuscita coerente dal neofascismo, facendo i conti con la storia, e quella opposta, di continuità con il neofascismo. Doveva finire male per forza, a mio danno, ai danni dell'”ebreo Palmesano”. E' stata molto dura: ho dovuto inventarmi un'altra vita, un'altra storia, costruirmi faticosamente un altro destino.    

Hai scritto questo libro molto tempo prima del divorzio tra Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi, come mai?
Non avrei mai scritto questo libro su Fini, non avevo alcuna urgenza letteraria, ero invece impegnato in un complesso lavoro di giornalismo investigativo sulla camorra in provincia di Caserta. Il libro è stato scritto unicamente per la cortese insistenza dell'editore Francesco Aliberti secondo il quale  – bontà sua – solo io potevo scrivere un testo così su Fini; il merito è suo. Io ci ho messo una profonda conoscenza del “caso Fini”. Si sapeva che sarebbe andata a finire così, con lo scontro Fini-Berlusconi, già molti anni fa, come ho tentato di spiegare nel mio libro. C'è una logica in tutte le cose, come sa chi ha letto Cartesio, Machiavelli e Topolino.

Parliamo adesso di Gianfranco Fini, perché definisci il suo “un fascismo immaginario”?
E' una lunga storia. Ma in sintesi si può dire che nel Msi-Dn e in An, quando non poteva più essere sostenuta una posizione neofascista, si tentata di dire che era esistito un altro fascismo, non quello della dittatura e dell'antisemitismo. Ma il fascismo altro e diverso era solo un “fascismo immaginario”, una nostra illusione romantica e giovanile, non era mai esistito nella realtà storica. Fini non ha voluto mai fare i conti con il fascismo vero e quindi ha messo in moto anch'egli il “fascismo immaginario”. Lo capisco, ma sbaglia. Questo “fascismo immaginario” per molti anni da dato un senso alla mia vita, ma era un errore, un falso storico.

Scrivi anche che la Destra non comprese la ribellione del  ’68 e che ancora oggi, così come fece Almirante, Fini prosegue con il tatticismo che si traduce in “condivisioni e azioni di principio, il tutto seguito da mancate decisioni politiche”. Ma quale Destra allora ci troviamo dinanzi?
Fini ha “tradito” davvero il suo maestro Giorgio Almirante (che è stato il leader storico del neofascismo italiano) nel giudizio sul '68, quando ha affermato che fu un'occasione perduta per la destra. Ma Fini ha ormai detto ogni possibile cosa, anche per lui è difficile mettere ordine nel finismo: secondo me non riesce più a capire se stesso. Si ha l'impressione che sia sempre spariglio, scelta tattica, mai una definitiva scelta politica. Nella pesca delle occasioni, nei colpi di teatro Fini è il continuatore di Almirante. Ma l'almirantismo è stato il nome che nel dopoguerra si è dato al fascismo, un travestimento del fascismo. Di questo Fini non ha voluto prendere atto dicendosi semplicemente “di destra”, destra europea. Una enorme contraddizione perché in Italia la destra è stata una delle maschere del neofascismo, mentre in Europa (pensiamo al gollismo in Francia) la destra nasce dall'antifascismo, dalla resistenza al nazismo.

Perché affermi che l’antiberlusconismo di Destra è uguale a quello di Sinistra?
Il berlusconismo non è un'invasione barbarica, ma l'espressione di un blocco sociale. Il blocco sociale anticomunista e anti-sinistra che nella Prima Repubblica sceglieva la Dc e le altre forze del pentapartito, nella Seconda Repubblica non poteva che scegliere Berlusconi perché la Costituzione materiale del nostro Paese – come ha detto in un'occasione Massimo D'Alema – è stato l'anticomunismo. Sono curioso di conoscere il dopo-Berlusconi perché voglio vedere che cosa nascerà nel blocco sociale moderato che è maggioritario nel Paese.
L'antiberlusconismo di destra e quello di sinistra commettono lo stesso errore, quello di considerare appunto il berlusconismo come un'invasione barbarica e non come l'espressione di un blocco sociale. Berlusconi non è imbattibile, ma il centrosinistra per vincere le elezioni deve dare a settori del blocco moderato delle buone ragioni per passare dall'altra parte, per convincersi a un disegno riformista. Il centrosinistra, insomma, da bisogno di un ritorno di Prodi (che ha battuto per due volte il quasi imbattibile Berlusconi) o di un leader che abbia la sua biografia politica: un economista cattolico, moderato, un ex democristiano.

Non credi che la fondazione di FLI rappresenti, invece, una decisione politica?
Il nuovo partito di Fini è un ritorno ad un'Alleanza nazionale più piccola, spaesata, rancorosa, ma cesarista come la vecchia An.

Questa “ribellione” o “tradimento” dei finiani rappresenta solamente una risposta alla mancata realizzazione del programma del PDL o, invece, la sferzata definitiva a questo Esecutivo voluta anche da forti interessi internazionali?
I berlusconiani meno diplomatici fanno intendere che Fini è azionato da interessi americani e che se Berlusconi farà una brutta fine (politicamente parlando) andrà a infoltire la schiera di quanti si sono ribellati al diktat della capitale dell'impero, in materia di energia e di politica estera. Insomma, Berlusconi, secondo i berlusconiani più arcigni non dovrebbe apparire in un quadro con Noemi e compagnia, ma in uno scenario comprendente Enrico Mattei, Aldo Moro e il Bettino Craxi di Sigonella, tutti invisi agli americani. E' la storia del presunto complotto. Non saprei che dire. Io mi occupo di politica, non di spy story. Forse i berlusconiani sopravvalutano o Berlusconi  o Fini; o tutti e due. 

Il prossimo 14 dicembre ci troveremo dinanzi a una crisi di governo o Berlusconi reggerà all’urto?
Non ho la sfera di cristallo. Quello che più mi interessa è capire in che modo il blocco sociale moderato sceglierà la sua rappresentanza politica futura e quali saranno le mosse del Pd per ribaltare il pronostico elettorale. Fini non è determinante in questo snodo storico, una volta espresso il voto di fiducia o di sfiducia.

Quale scenario si potrebbe immaginare?
Da spettatore, mi fa piacere vedere una partita di calcio tra due squadre molto forti, piuttosto che una partitella di campioni contro una squadretta di provincia. Vorrei vedere Berlusconi sfidato da un leader capace di batterlo (come lo era Prodi) non da uno sparring partner, da un pugile che per contratto e per valore deve prenderle per forza. Fuori i secondi, fuori Fini. Il Pd pensi a una strategia, gli spettatori come me vogliono vedere un bel combattimento. 

Gianfranco Fini studia da Statista?
Non esiste il Cepu per gli statisti. Fini è il miglior tattico della politica italiana, il più intelligente e spregiudicato. Ma non ha visione politica, non ha un'idea di Paese, non ha un blocco sociale di riferimento. Non è uno statista, ma per la verità non vedo un grande affollamento nella categoria degli statisti.


Letto 3237 volte
Dalla rete di Articolo 21