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Quella tendenza, tutta italiana, di infarcire i telegiornali di cronaca nera
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di Daniela de Robert
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La lente dell’Osservatorio di Pavia ha messo in luce la caratteristica tutta italiana di infarcire i telegiornali di cronaca nera, privilegiando i delitti comuni rispetto a quelli della criminalità organizzata, serializzandoli come fossero delle telenovela quotidiane. “Dal 2005 – ha detto Paola Barretta dell’Osservatorio – l’informazione sulla cronaca nera è cresciuta, anche se i reati sono diminuiti”.
E poi il dolore delle vittime che non sempre trova il dovuto rispetto, l’eccesso di visibilità degli autori di reato, come gli ex terroristi intervistati come se fossero dei “maitres a penser” ha detto Alfredo Bazoli, la cui madre fu uccisa durante la strage di Brescia. “La biografia del nostro paese – ha aggiunto – deve essere quella dei nostri genitori, non quella dei nostri carnefici”.
Al convegno hanno parlato anche loro, i cattivi. I detenuti della Redazione di Ristretti hanno raccontato degli incontri con gli studenti delle scuole, delle domande dei ragazzi, della loro condanna, della difficoltà di spiegare, della necessità di ascoltarsi, della fatica del confronto, del mettersi in gioco perché altri non commettano gli stessi errori. E hanno preso la parola i ragazzi. Per ringraziare gli “assolutamente cattivi” per aver spiegato loro che si può sbagliare e si può cambiare, perché “se diventi farfalla, nessuno ricorda più quello che eri prima”.
Poi è stata la volta di Marina, mamma di Giulia, condannata a vent’anni di galera per omicidio. Ne ha già fatti cinque. “Con mio marito siamo diventati una delle migliaia di famiglie che ogni giorno varcano le porte del carcere per andare a trovare il proprio caro”. Lo stereotipo e la condanna colpisce anche loro. “Siamo persone normali, anche se di solito si pensa ai familiari dei detenuti come a persone un po’ criminali o con forte disagio psico-sociale. Non è così”. Hanno dovuto imparare le regole galeotte, a confrontarsi con la burocrazia diversa da carcere a carcere, a frequentare i luoghi per i colloqui a volte accoglienti a volte terribili. Si ritengono fortunati: hanno mantenuto gli amici, quelli che non li hanno condannati insieme alla figlia. Hanno imparato a “setacciare” la loro vita, facendo passare solo le cose importanti, le persone che contano, le amicizie vere.
E alla fine una frase, dura come il dolore che ha tagliato la loro vita: “Io sono la madre fortunata, quella che può sperare comunque in un futuro per la propria figlia. L’altra non può più”.
Siamo tornati a casa tutti più ricchi, con molti dubbi in più, con punti di vista diversi qualche volta lontani che hanno saputo dialogare. Siamo tornati a casa convinti che il carcere e la giustizia siano più complicati di come ci vengono raccontati di solito, che i buoni non stiano tutti da una parte e i cattivi tutti dall’altra, che i bruchi possono diventare farfalle, che la tragedia può colpire ognuno di noi, da una parte o dall’altra, che la strada da fare è ancora lunga ma che siamo già incammino.
E di questo dobbiamo ringraziare “gli assolutamente cattivi” di Padova, che hanno pensato e voluto questa giornata insieme a chi li custodisce, direzione e polizia penitenziaria, e a chi da tempo lavora per costruire ponti tra i buoni e i cattivi: i volontari.
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