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Benedetta racconta Walter: una "corrispondenza di amorosi sensi"
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di Silvia Iachetta

Benedetta racconta Walter: una "corrispondenza di amorosi sensi"

Lo spazio che intercorre tra Walter e Benedetta Tobagi è uno spazio invisibile tra i caldi colori del sole al tramonto e il mare calmo in una fredda giornata d’inverno.  Uno spazio fitto, fatto di lacrime, sorrisi, rabbia, rancore.  Fatto di mille perché, di “come sarebbe stato se…”.  Una dimensione creata da tante tracce: ritagli di giornali, pagine di diario, testimonianze, amnesie da ricordare, rivendicazioni, voci fugaci.  Quel luogo lo invadi anche tu, in modo del tutto inconsapevole; lo invadi così tanto da lasciare che le tue lacrime scorgano senza accorgertene e quando ne divieni conscio senti di aver quasi violato un’intimità troppo forte, che non ti apparteneva, perché in quello spazio Benedetta si muove per ritrovare suo padre. E spesso è fortissima la sensazione che sia Walter ad aiutare la figlia a incontrarlo, conducendola per mano verso sentieri scoscesi.
“Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre” è uno di quei libri che senti la necessità di rileggere nel momento stesso in cui concludi l’ultima riga: non riesci a staccartene così bruscamente, hai bisogno di comprendere  (ammesso che all’insensato delirio si possa dare una spiegazione), senti che qualche particolare può esserti sfuggito, cominci a chiederti: “perché?”.
E ti assale una voglia estrema di recarti nella più vicina biblioteca per ricercare copie del “Corriere della Sera” risalenti agli anni 1978-1980. Vuoi leggere anche tu gli articoli di quel giornalista Walter Tobagi, che a quel “lavoro affannoso” dava una spiegazione che sentiva molto forte: “è la ragione di una persona che si sente intellettualmente onesta, libera e indipendente, e cerca di capire perché si è arrivati a questo punto di lacerazione sociale, di disprezzo dei valori umani”. Non ha avuto il tempo per capire e nemmeno noi avremo mai l’occasione di farlo: non esiste alcuna spiegazione plausibile alla cattiveria gratuita e insensata. Walter Tobagi è stato ucciso il 28 maggio 1980 dai terroristi della “Brigata XXVIII Marzo” per i suoi pensieri riportati nero su bianco. Ma si può uccidere un uomo per le sue idee?  Lui aveva solo 33 anni. Oggi, alla sua stessa età, si è “giovani precari”. Walter Tobagi, invece, era già un giornalista affermato, di spiccato talento, con una moglie e due figli, “con tutti gli entusiasmi, le tristezze, gli eroici furori e le arrabbiature di quando sei giovane e ti tuffi a capofitto nel lavoro che hai scelto e sognato”. Benedetta aveva solo tre anni quando le hanno ucciso il padre, “rubandole” quella vita che avrebbe potuto, anzi dovuto, trascorrere con lui. In questo libro racchiude la lunga ricerca che ha portato avanti per sapere, fino in fondo, chi fosse quell’uomo di cui tanto avrebbe avuto bisogno in tutti questi anni. Lo fa raccontando “l’uomo, l’epoca, il contesto, un modo d’intendere il giornalismo anche come servizio alla società, il terrorismo che lo ha ucciso”. Lo fa con accuratezza, dovizia di particolari, descrivendo la banalità del male, l’atrocità dello stesso, le conseguenze che ha provocato. Aveva ragione suo nonno e Benedetta lo ha capito sulla sua pelle: “a cercare la verità ci si fa male, laddove la realtà dei fatti è sfuggente, elusiva, ambigua”.  Walter rivive attraverso la scrittura della figlia: ci fa commuovere a ogni pagina, ci induce a riflettere, ci suscita rabbia, sgomento. Le sue parole ti strappano dalla quotidianità come un tornado: ti fanno volteggiare in una polvere nera fatta di terrorismo e terroristi, personaggi noti, sangue, barbare uccisioni. In una Milano che cambia volto improvvisamente, in un’Italia che sembra allo sbaraglio, stretta nella morsa tra bene e male. Sei sballottato tra l’ipocrisia generale e l’assenza insostituibile di “buoni maestri”, tra la paura di un giornalista “dall’umana fragilità” e l’immagine di una bambina indifesa costretta a crescere troppo in fretta, tra intrighi e sottovalutazioni, tra corridoi di tribunali, scrivanie di redazioni giornalistiche e covi di terroristi. E poi sei scaraventano a terra nel dolore dolce di una figlia che non ha più un genitore. E’ paradossale, per nulla consolatorio, ma Benedetta ha conosciuto suo padre più di tanti altri figli che hanno avuto la fortuna di crescere con i propri genitori.
Benedetta lo scopre dialogando con la sua figura, con i suoi articoli, con la sua intimità riportata su pagine bianche, ma senza cedere a facili edulcorazioni. E senza farne un eroe.
Walter Tobagi era un grande giornalista, che non ricercava lo scoop, ma voleva capire la realtà, analizzarne le diverse sfaccettature, e voleva poterla raccontare: “Humanas actiones non ridere, non lugere, neque detestari, sed intelligere” aveva scritto sul suo diario riprendendo lo Spinoza dell’Etica.
È morto il 28 maggio del 1980, eppure, per Benedetta continua a vivere. È sempre presente, pur non essendoci.


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