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Una strage infinita: ecco perché la procura chiede 20 anni di carcere per L’Eternit
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di Santo Della Volpe

Una strage infinita: ecco perché la procura chiede 20 anni di carcere per L’Eternit «In tanti anni non avevo mai visto una tragedia come questa»: scandisce le parole il pubblico ministero Raffaele Guariniello . Sembra sussurrare al microfono, in realtà è il suo stile. Parla piano, ma non lesina le considerazioni, le descrizioni, i motivi di una richiesta così alta: una condanna a 20 anni per Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, e Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne, barone belga di 89 anni, i due alti dirigenti della multinazionale dell'amianto Eternit, nella cinquantesima udienza del maxi-processo per migliaia di morti in corso a Torino. Le accuse loro contestate sono di disastro ambientale doloso (per l'inquinamento e la dispersione delle fibre-killer) e omissione volontaria di cautele nei luoghi di lavoro. L'accusa ha chiesto anche tre pene accessorie: l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, l'incapacità di trattare con la pubblica amministrazione per tre anni e l'interdizione temporanea dalla direzione di imprese per dieci anni.

La  requisitoria della Procura, conclusasi con la richiesta di pene per i due imputati, è stata lunga ed articolata: cominciata il 14 giugno con il racconto, ricostruito attraverso le carte sequestrate  durante le perquisizioni e le acquisizioni a Casale Monferrato ed all’estero, ha scoperto l’esistenza di un vero e proprio cartello mondiale dell’amianto che aveva il compito di occultare  prima e confutare poi ( con ricerche pagate dalle aziende produttrici e utilizzatrici di amianto), quelle scoperte medico-epidemiologiche che già prima della seconda guerra mondiale avevano cominciato a dire che l’amianto è cancerogeno. Un cartello guidato dall’Eternit e dai suoi proprietari che ,negli anni, erano diventati  leader a livello mondiale. Sino al punto di scrivere in varie corrispondenze, che  quando ormai era stata accertata la cancerogenità dell’amianto, bisognava fare di tutto perché la popolazione non sapesse: erano gli anni ‘60 del secolo scorso, quelli delle punte massime di produzione dell’amianto che a Casale Monferrato per il cemento amianto ed a Balangero, per la miniera di asbesto, vedevano l’Italia in prima fila nella produzione di questo minerale killer. E quindi nella “produzione” di tumore alla pleura, quel mesotelioma incurabile (sinora) che ancora oggi provoca 40-50 morti all’anno a Casale Monferrato e che toccherà la punta massima di vittime solo nel 2020 .

 «Prima di pensare a quali pene chiedere - ha spiegato il pm Guariniello - ho voluto rileggere le pene inflitte per i casi più gravi di disastri o di morti, tra cui i tanti morti nelle aziende amiantifere della nostra zona e anche i sette della ThyssenKrupp. Una tragedia come questa, però, non mi era mai capitata: ha colpito regioni diverse nel nostro paese, popolazioni di lavoratori e di cittadini. Continua a seminare morte e continuerà a farlo chissà per quanto».

Quello ai vertici della Eternit è il più grande processo per amianto d'Europa. La Procura di Torino procede per più di 3000  persone morte o ammalate a causa dell'amianto lavorato in quattro stabilimenti italiani della multinazionale elvetica: Cavagnolo (Torino), Casale Monferrato (Alessandria), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). I fatti contestati vanno dal 1952 al 2008. Le parti civili ammesse dal Tribunale sono oltre seimila, principalmente ammalati (di asbestosi, tumori e altre patologie) o parenti di vittime. Proprio i loro legali inizieranno a parlare a partire dalla prossima udienza del processo, in programma lunedì. Visto il grande numero, il presidente del tribunale Giuseppe Casalbore ha previsto che ognuno di essi potrà intervenire per non più di un quarto d'ora. Le arringhe della difesa occuperanno poi la ripresa autunnale, sino alla sentenza prevista entro l’anno. Una decisione del giudice  che è attesa in tutto il mondo: anche  durante la requisitoria del PM,infatti, erano presenti al tribunale di Torino delegazioni  europee e provenienti da quei paesi, come il Brasile o il Canada, dove l'amianto è ancora estratto o lavorato. E dove si sono organizzati i primi ricorsi alla magistratura nel tentativo di ottenere il riconoscimento della cancerogenità delle lavorazioni.
Perché il principio da affermare ormai non è più la conoscenza scientifica, ormai  consolidata. Né solo i giusti riconoscimenti per le famiglie delle vittime.

Nel tribunale di Torino si discute anche  di compatibilità del lavoro con l’ambiente e soprattutto con la salute di chi vive  dentro e vicino  alle fabbriche. Tema che  tocca tutto il mondo industrializzato: dove, nel 2000 ,è ormai tempo di affermare il principio secondo il quale non si può morire di lavoro e delle sue conseguenze; che il profitto,  pur logico in una società basata sul mercato e sul capitale,non può accumularsi sulla pelle (nel senso letterale del termine) di chi lavora o vive, semplicemente vicino ai luoghi di produzione. Per questo Casale Monferrato è paradigma di un passato che non si deve ripetere e di un futuro che si deve cercare di  cambiare, con il consenso delle parti del mondo del lavoro. E quindi degli industriali, grandi e piccoli.
E soprattutto nel 2000 , non deve più ripetersi l’infamia di chi ha prima taciuto e poi  tentato di imporre il silenzio alla ricerca scientifica ed ai giornalisti, sul pericolo mortale corso da persone ignare che per anni hanno respirato fibre di amianto senza sapere il rischio che correvano. E solo perché veniva impedita la divulgazione di notizie che i proprietari delle aziende invece ben conoscevano, pagando scienziati concorrenti perché dicessero il contrario della verità  . C’è della malafede in tutto questo. Che tradotto in giudiziario si scrive “dolo” e che spiega anche la richiesta così alta di 20 anni di carcere chiesti dalla procura della repubblica di Torino per i responsabili della strage Eternit.

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