Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - INTERNI
Beni confiscati ai mafiosi. Lettera al ministro Cancellieri
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Centro Pio La Torre

Beni confiscati ai mafiosi. Lettera al ministro Cancellieri

- Al Ministro dell’Interno
dott.ssa Anna Maria Cancellieri

- Al Prefetto Giuseppe Caruso
Direttore Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione
dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata

- p.c. Al Ministro della Giustizia
dott.ssa Paola Severino

Egregio signor Ministro, Caro signor prefetto,
dissentiamo dalle vostre recenti dichiarazioni sulla vendita dei beni confiscati che non sarebbe un tabù dopo la pubblicazione del d.lgs n°159 sulle misure di prevenzione antimafia. Vi è nota l’opposizione di tutte le componenti sociali e istituzionali dell’antimafia - dalle associazioni antimafia alle rappresentanze del mondo del lavoro e delle imprese, da ANM alla Regione Sicilia e all’ANCI - alla vendita dei beni confiscati per fare cassa che sembra essere diventata la priorità nella gestione dei beni confiscati ai mafiosi.
Ricordo a tutti noi che la priorità fissata dalla legge Rognoni-La Torre e della l.109/1996, due conquiste legislative storiche dello Stato italiano per il contrasto alle mafie, è il riuso per fini sociali dei beni confiscati onde dimostrare che l’Antimafia risarcisce la società danneggiata dall’esproprio mafioso. Se non vengono rimossi tutti gli ostacoli procedurali e comportamentali al riuso sociale dei beni confiscati e l’Agenzia, invece, procede alla loro vendita, pur nella trasparenza dei bandi e dei controlli, sancisce l’impotenza dello Stato a perseguire il fine prioritario previsto dalle leggi Rognoni-La Torre e 109/96. Inoltre non voler affrontare, subito, le obiezioni che concordemente sono state formulate sul nuovo Codice delle misure di prevenzione antimafia, già rifiutate dal precedente Governo nonostante fossero state fatte proprie dalle Commissioni Giustizia delle due Camere, ci fa pensare a un ulteriore passo indietro nell’azione antimafia.
Noi siamo stati e siamo tra i più accesi sostenitori dell’Agenzia unica per i beni confiscati, purché dotata di personale sufficiente e presente sul territorio nazionale, in concerto con le Regioni e gli Enti locali, la magistratura, gli amministratori giudiziari, le forze sociali, gli esperti e, se è permesso, anche con le componenti del movimento antimafia, che si sono prodigate per diffondere un coscienza critica antimafiosa, sia in grado di assicurare rapidamente l’assegnazione e la destinazione dei beni immobili e la prosecuzione delle attività produttive delle aziende  onde garantire, nella legalità, più lavoro e sviluppo.
Prima di pensare alla vendita l’Agenzia pensi subito alla assegnazione definitiva dei beni già in uso alla Regione e agli Enti locali. L’Assessore regionale Gaetano Armao ha dichiarato che la Regione Siciliana paga sei milioni di euro per gli affitti dei beni confiscati in suo uso, di cui solo tre milioni per due assessorati a Palermo. Immaginiamo che questi milioni di euro vadano nella loro destinazione finale nelle casse del Tesoro per una parte, per un’altra  in quelle del Fondo unico della Giustizia dal quale qualcosa sarà stornata alla Sicilia. Cosicché, la Sicilia, dapprima espropriata dal processo economico criminale col consenso di quella parte della classe dirigente (economica, politica, istituzionale, sociale) che ha usato le mafie per mantenere il proprio dominio, con la vendita sarebbe penalizzata un’altra volta.
E poi l’Agenzia cosa potrebbe vendere? Come Lei, prefetto Caruso, afferma, solo i pezzi migliori. Chi li potrebbe acquistare? Che fine farebbero gli attuali condomini affittuari nei palazzi confiscati che, in questi tempi di crisi, sicuramente avrebbero difficoltà a esercitare il diritto di prelazione?  E per le scuole ubicate negli edifici confiscati, quegli Enti locali sull’orlo del dissesto finanziario troverebbero i capitali per acquistarle? Inoltre con tutte le prudenze e i controlli possibili la vendita non impedirebbero a insospettabili “teste di turco” di acquistarli per conto delle organizzazioni mafiose espropriate le quali, nella crisi attuale, sicuramente sono le uniche a disporre di enorme liquidità frutto dei loro traffici illeciti e magari di capitali scudati e perciò legali. Sicuramente indagini diligenti saranno in grado smascherare il prestanome, ma intanto saranno trascorsi anni durante i quali i gruppi criminali avrebbero modo di farsi beffa  dello Stato di diritto e riaffermare il loro dominio nell’economia, nella società e nella politica.
Tutto questo non ci sta bene. Il Governo attuale dovrà recuperare l’occasione mancata del cosiddetto “nuovo Codice antimafia” come ha richiesto recentemente a Palermo quel vasto schieramento, del quale riferivamo prima, proponendo immediate modifiche del d.lgs 159/2011.
Primo: non si può trattare la delicata questione della gestione dei beni confiscati con le procedure del diritto fallimentare. Secondo: la confisca non può essere “breve” e il processo “lungo” perché alla fine si restituirebbero i beni ai vecchi proprietari sospettati. Terzo: la tutela dei terzi non può prevalere a scapito dell’interesse pubblico. Quarto: i proventi della confisca devono essere devoluti prioritariamente al territorio dove è allocato il bene e al rilancio imprenditoriale dell’azienda. Esprimendo la nostra ferma opposizione alla vendita dei beni che la legge elenca come ultima possibilità, non muoviamo da alcun preconcetto, ma solo dall’impegno storico di tenere dritta la barra antimafia, come l’hanno tenuta tutti coloro che sono stati uccisi dai clan per essere stati coerentemente antimafiosi: servitori dello Stato, imprenditori, preti, semplici cittadini, politici.
Sul terreno scottante di una grande questione storica sociale e politica, come il contrasto alle mafie, guai a far prevalere aride e tecniche considerazioni aziendalistiche a scapito della tutela dell’interesse pubblico e della sua resa immediata e differita per la democrazia e lo sviluppo libero.  Per tali considerazioni chiediamo a Voi, di cui abbiamo avuto modo di apprezzare l’impegno leale di servitori dello Stato, al Governo e al Parlamento di rendervi interpreti di queste concordate valutazioni e di procedere, di concerto coll’ampio movimento antimafia, a una applicazione coerente con lo spirito legislativo originario.


Letto 2428 volte
Dalla rete di Articolo 21