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Vendola, uno sguardo altro verso il Sud
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di Silvia Iachetta

Vendola, uno sguardo altro verso il Sud

«L’esperienza di Niki Vendola in Puglia rappresenta un’idea nuova di vedere il Sud. Vendola ha saputo costruire rapporti con aree della società che sono estremamente preziose. Una classe dirigente la costruisci anche sulla base di un riscontro costante rispetto a quello che riesci a realizzare, alla capacità di testimoniare un’idea forte. Una classe politica che, invece, si presenta come una pura espressione di riproduzione di potere non serve. Serve solo a chi la fa. La politica deve essere vista come impegno civile non come mestiere». Franco Cassano, professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nell’Università di Bari, esprime in questi termini il suo pensiero nei confronti delle primarie del Centro-Sinistra in Puglia. «In Italia siamo orfani da molto tempo di una politica forte, interessante, innovativa, importante» sostiene ancora Cassano, una politica che sembra non aver più interesse ad affrontare, seriamente, la questione meridionale.  Questione che, invece, viene ben esaminata nell’ultimo libro del sociologo, “Tre modi di vedere il sud”, (il Mulino), dove vengono analizzati tre diversi paradigmi che hanno interpretato il Mezzogiorno: quello della dipendenza e dello sfruttamento, quello della modernizzazione e del ritardo, quello dell’autonomia e del Sud come risorsa critica.
«Per quanto riguarda la dipendenza, ritengo che bisogni imparare a guardare il rapporto tra Nord e Sud con una minore carica di  innocenza. Spesso il rapporto tra un’area forte e un’area debole non è un rapporto in cui l’area forte va più veloce solo perché è più brava. Ad esempio, se tutti i laureati meridionali continuano ad andare a lavorare al Nord è molto facile che questo diventi sempre più forte a discapito del Sud.  Il paradigma del ritardo, invece, mostra che una parte dei nostri problemi nasce anche dalla capacità di mobilitarsi, di costruire un’etica del lavoro più rigorosa. Si può imparare anche qualcosa dagli altri, ma il Sud deve essere capace di costruire una via ad uno sviluppo interpretato in modo differente». 

Infine, il paradigma dell’Autonomia….
«In quest’ultimo io mi identifico. Autonomia significa che i meridionali non possono muoversi costruendo un’imitazione tardiva di ciò che è stato fatto altrove. Devono imparare anche dai Paesi più avanzati senza però dimenticare se stessi. Devono inventarsi un’altra storia. Bisogna impegnarsi, non bisogna dare alibi, bisogna dimostrare di essere capaci di fare. Tutto questo deve essere animato dall’ambizione di fare un percorso autonomo, diverso. Noi abbiamo bisogno di avere collegamenti, di costruire una rete di rapporti con i Paesi che sono vicini; una rete che al momento invece non c’è. Il Mediterraneo in questo senso è utile».

Si spieghi meglio. Perché reputa importante il Mediterraneo per il Sud?
«Attraverso il Mediterraneo abbiamo un modo diverso di interpretare il Sud, non vedendo questo lato come infossato, al di là del quale c’è il nemico, ma invece come una grande opportunità di pace, di collaborazione. Per il Mezzogiorno d’Italia questo sarebbe straordinariamente vitale perché significherebbe diventare un centro nevralgico di connessioni, di rapporti, e, per certi versi, significherebbe recuperare anche la sua storia, ovviamente in un contesto nuovo,  pacifico e sulla base di rapporti di parità. Nessuna nostalgia imperiale, ma il riconoscimento, sullo stesso piano, di culture che sono curiose l’una dell’altra, che vogliono apprendere dall’altra, pur non smarrendo la propria identità. Un rapporto che non deve essere di chiusura dei luoghi, ma di arricchimento. Occorre aiutare questi luoghi a raccogliere le sfide presenti senza perdere se stessi».

Lei promuove, con trasporto, una forte riflessione sul Mezzogiorno ormai da diversi anni. Lo testimonia anche il suo libro “Il pensiero meridiano” nel quale fa un appassionato “elogio” alla lentezza. Ma quanto nel Meridione la lentezza assume una immagine positiva e quanto una immagine negativa?
«Bisogna fare alcune specificazioni. La lentezza nel lavoro burocratico è sicuramente qualcosa che bisogna cercare di curare. Specialmente quando la lentezza diventa velocità se arriva un potente a chiedere le pratiche. Ma laddove c’è una pratica che rimane troppo in un ufficio non si parla di lentezza, ma di reato. Il problema è come giudicare se stessi in relazione alle punte avanzate della modernità. Quello che io cerco di combattere è l’idea che noi siamo semplicemente un “non ancora Nord”, che la nostra identità sia solo un’imperfezione che noi dobbiamo curare per diventare come in Nord, che il Sud sia solo arretratezza, che tutte le caratteristiche della nostra cultura siano riducibili ad una sindrome negativa. Non è così.  L’elogio della lentezza non lo si trova soltanto al Sud come apologia, come difesa di una terra arretrata. Se uno si toglie gli occhiali del pregiudizio antimeridionale si accorge che l’elogio della lentezza c’è in molti film americani, in molti narratori della middle Europa, in alcuni musicisti. Molte volte il richiamo alla lentezza viene dai paesi più sviluppati come desiderio di mantenere alcune dimensioni delle esperienze che noi corriamo il rischio di affogare in una rincorsa ossessiva e distruttiva».

Riuscire a “togliersi gli occhiali del pregiudizio antimeridionale”. Crede che ormai ci sia la  tendenza a degradare anche ciò che di bello il Sud possiede?
«Noi abbiamo un territorio meraviglioso che può essere anche fonte di reddito, di ricchezza. Ma bisogna essere ferocemente critici quando ci si accorge che questo territorio bello è stato cementificato, privatizzato, incidendo sul nostro modo di poter essere moderni. La sfida del rapporto con il moderno deve esser fatta mobilitando la parte migliore di noi e non invece quella parte che ha stuprato i luoghi per accaparrarli privatamente. Le nostre coste devono poter essere di tutti, così come le nostre spiagge che, invece, continuano ad essere prese dai più prepotenti violando la legalità».

Ritornando alla lentezza, perché è così importante rallentare?
«Io credo che l’amore, l’educazione, la riflessione e tanti altri aspetti, anche la discussione democratica, abbiano bisogno di un loro tempo. L’amore più veloce è quello a pagamento perché non c’è più bisogno di conoscere. Si va lì e si compra, e ci si realizza in questo modo. L’amore richiede tempo, fantasie, immaginazione, approssimazione lenta all’altro, perché attraversato continuamente da una domanda su cosa l’altro è, cosa desidera, cosa vuole. È così anche nell’educazione. Noi non possiamo velocizzare la digestione e credo che a maggior ragione sia impossibile velocizzare la digestione di un’idea, di un elemento. Ognuno ha bisogno dei suoi tempi, dei suoi momenti di riflessione. Io non difendo un fondamentalismo della lentezza contro la velocità, ma le ragioni della lentezza contro il fondamentalismo della velocità.
Una società più ricca è una società in cui si può andare più veloci, perché ognuno di noi ha bisogno di comunicare velocemente, ma si può anche andare lenti perché ci sono momenti e attività che devono svolgersi con tempi, cadenze tra loro differenti. È questa ricchezza che vorrei mantenere».

Qual è, a suo avviso, l’immagine che i media mostrano del Sud?
«La dominante è sicuramente quella di Gomorra, dei rifiuti e dei crolli. Ma bisognerebbe prendere in considerazione anche l’esperienza di Niki Vendola in Puglia, che pur con alcuni difetti che nessuno nasconde, ha avuto una straordinaria capacità di presentare un’idea nuova di Sud, fuori della Regione, nel resto d’Italia e anche fuori da essa. Bisogna innanzitutto valorizzare e tutelare tutte quelle esperienze che riescono ad offrire un’immagine del sud diversa, che non si adegui all’immagine negativa. L’immagine del Sud la si può cambiare soltanto impegnandosi, vorrei dire fino all’ultima energia, perché è una battaglia difficile rispetto alla quale non ci si può permettere il lusso di distrarsi. Si deve combattere ogni giorno, in ogni momento, in ogni luogo perché è molto importante che si affermi l’idea che il Sud non è solo Gomorra o rifiuti, ma ha anche tante esperienze con le quali vale la pena confrontarsi e a volte anche imparare qualche cosa».


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