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Articolo 21 - Editoriali
Iran, la stampa imbavagliata deve anche "pentirsi" e "confessare" in Tv
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di Ahmad Rafat *

A Mahmoud Ahmadinejad, non basta più imbavagliare la stampa e rinchiudere in cella i giornalisti. Ora i giornalisti detenuti devono anche "pentirsi" e "confessare"davanti alle telecamere della televisione di Stato. Il primo ad apparire "pentito" e a raccontare tutto quello che gli era stato suggerito da Saiid Mortazavi, è stato Masiar Bahari. Saiid Mortasavi è il giudice che da anni si occupa della stampa e dei giornalisti ed è sospettato di aver ucciso Zahra Kazemi, la fotogiornalista canadese di origine iraniana, sbattendola contro una parete della cella di Evin con tale violenza da procurarle una emorragia cerebrale. Saiid Mortasavi, un Lavrentij Beria in salsa islamica, è stato incaricato da Mahmoud Ahmadinejad di occuparsi in prima persona di tutti gli arrestati delle ultime tre settimane. Mortazavi ha iniziato con i giornalisti.

Il primo filmato, trasmesso dalla televisione di Stato, mostra Maziar Bahari, corrispondente in Iran del settimanale statunitense Newsweek, recitare il vecchio copione del "pentito" che riporta alla mente le confessioni staliniane. Con gli occhi che cercano di sfuggire alla telecamera, Bahari racconta di essere caduto "nella trappola" dei riformisti, che gli avrebbero "suggerito" cosa scrivere sulle manifestazioni in piazza. Bahari nella sua "confessione - pentimento" accusa anche gli altri corrispondenti stranieri che si trovavano in Iran a coprire le elezioni dello scorso 12 giugno, di "essere venuti a fomentare disordini per poi trasmettere all'opinione pubblica internazionale un'immagine falsata della Repubblica Islamica".

Bahari, iraniano di origine ma cittadino canadese, non è l'unico ad essere stato costretto a "pentirsi". Sono pronti per la messa in onda video di "pentimenti" di altri illustri giornalisti iraniani, come Mohammad Ghouchani e Mohammad Ali Abtahi. Quest'ultimo, ex giornalista della radio e televisione di Stato, è stato vice presidente della Repubblica, ai tempi di Mohammad Khatami, e durante l'ultima campagna elettorale, lavorava con il candidato Mehdi Karroubi, quale suo consigliere. Anche Mohammad Ghouchani, che dirigeva Etemad Melli, il quotidiano del partito di Mehdi Karroubi, ha dovuto fare "atto di pentimento" davanti alle telecamere della televisione di Stato. Ghouchani è un giovane ed emergente giornalista dell'area riformista, che a soli 23 anni ha assunto per la prima volta la direzione di un quotidiano importante. La stessa sorte spetta a tutti i giornalisti arrestati nei giorni successivi alle elezioni truffa del 12 giugno.

Attualmente, sono in carcere l'intera redazione del quotidiano Kalameh Sabz (la Parola Verde) l'organo elettorale di Mir Hussein Moussawi. Ai 25 giornalisti e impiegati di Kalameh Sabza, bisogna aggiungere altri 22 giornalisti arrestati nelle ultime tre settimane a Teheran e in altre tre città iraniane, Tra di loro firme illustri e conosciute anche all'estero, come Saiid Leylaz, intervistato più volte dalla stampa italiana, Jila Bani Yaghoub, la giornalista più nota del paese, Mohammad Ali Abtahi, Saiid Hajjarian, e Mohammad Atrianfar . Anche un cittadino americano, Lason Athanasiadis inviato, del quotidiano Washington Times in Iran, si trova rinchiuso in una cella di Evin. Quest ultimo è accusato di essersi recato nella Repubblica Islamica allo scopo di "scatenare una rivoluzione di velluto".

* membro dell'esecutivo dell'Information, Safety & Freedom

 

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