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Darfur, la giustizia non può più aspettare
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di redazione

Darfur, la giustizia non può più aspettare

La Camera d'appello della Corte penale internazionale dell'Aja ha ordinato il riesame del mandato d'arresto spiccato il 4 marzo 2009 contro il presidente sudanese, Omar al Bashir, perché il documento non menzionava le accuse di genocidio. Ne abbiamo parlato con Antonella Napoli, giornalista e autrice del libro ‘Volti e colori del Darfur’, presidente dell’associazione ‘Italians for Darfur’.

Cosa pensa di questa nuova decisione che rimette in discussione l’istruttoria che aveva portato all’incriminazione di Bashir?
"L'eterna querelle sul 'genocidio sì, genocidio no' ha ormai raggiunto livelli grotteschi. Mentre i giudici della Cpi continuano a 'rimpallarsi' l'istruttoria sui crimini commessi in Darfur, milioni di persone restano in attesa di risposte, di un colpevole che paghi per le atrocità perpetrate nella regione. Il dramma nel dramma è proprio questo: un sistema giudiziario internazionale che non riesce a garantire una vera giustizia a una popolazione martoriata che ha pagato e paga un tributo senza eguali per una guerra civile, di tutti contro tutti, consumata nell'indifferenza della comunità internazionale. Ora un'erronea applicazione del diritto ritarda ulteriormente i tempi. E noi ci chiediamo: fu errore giuridico o politico?". 

Ma quali sono gli errori che hanno portato a questa nuova decisione?
"In primo luogo il reato più grave contestato dal procuratore Moreno Ocampo non venne riconosciuto per insufficienza di prove, ma forse il motivo era un altro… le contestazioni furono ritenute eccessive. Oggi i giudici d'appello affermano che l'esclusione di quel reato e delle relative prove fu 'un errore giuridico' ed hanno ordinato alla Corte di riesaminare le prove portate dalla procura per sostenere l'accusa di genocidio. La nuova decisione dovrà essere basata "su un buon uso della norma della prova" come prescritto dai giudici d'appello. Inoltre non spettava alla camera che si espresse il 4 marzo decidere se Al Bashir avesse compiuto un genocidio in Darfur. L'accoglimento della richiesta di appello di Moreno-Ocampo riapre la possibilità che le prove della procura vengano valutate in modo diverso, meno rigido. Il punto controverso riguarda la dimostrazione che il governo del Sudan abbia agito o meno con lo specifico intento di distruggere, in tutto o in parte, i gruppi Fur, Masalit e Zaghawa”.

E' una vecchia diatriba che ha animato discussioni anche in seno all'Onu?
"Il termine 'genocidio' ha sempre destato forti imbarazzi anche in quanti non abbiano mai negato né contestato le responsabilità del presidente sudanese. Il dubbio che il 'clima' pre-emissione del mandato di arresto avesse 'influenzato' la decisione della Corte era dunque giustificato. La speranza, ora, è che i giudici chiamati a stabilire se aggiungere o meno il reato di genocidio alle accuse, che già includono sette capi d'imputazione per crimini di guerra e contro l'umanità - tra i quali omicidio, sterminio, tortura e stupro - possano esprimersi serenamente e riescano a porre fine a questa assurda querelle”.

Quante vittime del conflitto vengono attribuite a Bashir? 
“Non è possibile fare una stima definitiva. ma secondo le Ong internazionali i morti causati dalle bombe dell'esercito di Khartoum e dagli attacchi incendiari dei Janjaweed sarebbero circa 90mila (le sole milizie avrebbero trucidato 35mila tra Fur, Masalit e Zaghawa dal 2003 al 2006) e oltre 200mila le vittime della crisi umanitaria scaturita dal conflitto, che negli ultimi sette anni é andata sempre peggiorando fino a cristallizzarsi nell'inefficacia di oggi degli aiuti sul campo”.

Qual è la situazione attuale? 
”Il conflitto in Darfur nell’arco di sette anni ha costretto due milioni e mezzo di persone alla fuga, destinandole ad una vita da sfollati sia all'interno del Sudan sia nei campi profughi in Ciad, circostanza che di fatto ha allargato il conflitto anche a questo paese confinante. Nel 2009 altre 200mila persone hanno lasciato i propri villaggi per chiedere assistenza nei campi profughi portando a 2 milioni e 800mila gli sfollati assistiti dalle Nazioni Unite. Nell’ultimo anno si è registrato un peggioramento della qualità della vita nei centri di accoglienza. L’esistenza di centinaia di migliaia di profughi, per lo più donne e bambini, e costantemente a rischio in tutto il Darfur. Le minacce continuano ad essere molteplici: risorse idriche e alimentari insufficienti, condizioni igienico sanitarie pressoché inesistenti e controlli per la sicurezza inefficaci. La mortalità continua a essere molto alta anche se l’età media di aspettativa di vita è passata dai 35 ai 40 anni. Invariati i dati relativi alla mortalità tra i bambini, la maggiorana non supera i cinque anni.  Ogni giorno ne muoiono un centinaio di fame o di malattie. II problema della malnutrizione e della mancanza d’acqua rimane prioritario”.

Cosa può fare la Comunità internazionale per migliorare la situazione?
“Le risorse messe in campo sono notevoli ma non si riesce a gestirle bene. L’unico che può fare qualcosa affinché l’intervento umanitario sia più efficace è il governo sudanese. Ed è per questo che ad esso ci appelliamo affinché riveda la decisione di impedire a determinati operatori di tornare in Darfur e lasci lavorare quelle organizzazioni in grado di garantire una giusta assistenza ai profughi.

Anche in Sud Sudan l’emergenza è sempre più pressante.
“Si. Forse addirittura più grave e drammatica. I dati sulle vittime delle violenze nello stato di Jonglei, uno dei più colpiti dalle scorribande e dagli scontri tribali in Sud Sudan, parlano di almeno 1800 i morti, 340 i bambini rapiti, 280 i feriti, 847.000 i capi di bestiame rubati negli ultimi sel mesi del 2009. E il futuro, con le elezioni ad aprile 2010 e il referendum del 2011, non promette nulla di buono”.


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