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di Simone Luciani
Non deve essere al massimo dell’umore, per sparare addirittura sulle gerarchie vaticane, alleate storiche del centrodestra (ma che godono di buone entrature anche nel centrosinistra). Perché, nonostante l’espressione “qualche parroco” dedicata, se non abbiamo capito male, a Famiglia Cristiana ma anche ad Avvenire (che, è bene ricordarlo, riflette il pensiero della Cei), sia al limite dell’offesa, non riusciamo a credere che Berlusconi sia in grado di sfornare anche la versione Presidente Laicista (anche perché sul significato del termine ‘laicismo’ ci stiamo interrogando da tempo, per ora senza fortuna). Evidentemente c’è, tanto per cambiare, qualcosa dietro.
Sulle evoluzioni e le conseguenze di questa uscita si accettano scommesse. La prima opzione è che, tra qualche giorno, un qualche vescovo irritato (una volta tanto a ragione, perché l’intenzione di offendere c’è tutta) commenterà duramente, e Radical Papi dirà di non aver mai detto “qualche parroco”, o di non riferirsi ai vescovi (può giocarsi la carta suor Paola…). O lo stesso premier anticiperà le invettive vescovili. La seconda opzione è che i porporati tacciano e incassino. Ipotesi improbabile, a meno di non pensare a un debito da estinguere successivamente (anche se, a quel punto, verrà da chiedersi come mai discettino ogni giorno sulla qualunque, soprattutto su ciò che non compete loro, e non sfoderino la paranoia dell’illuminismo e del relativismo proprio stavolta che sono stati insultati).
Ma c’è una terza strada. Ed è la più inquietante, perché è quella ultimamente più battuta da maggioranza, governo e gerarchie ecclesiastiche. Dall’esplosione del Papi-Gate, infatti, è in atto una guerra strisciante fra maggioranza di centrodestra e Cei. Fatta prima di lunghi silenzi, tanto che circolava la sgradevole sensazione di una Chiesa moralista e prepotente con i deboli (vedi Englaro) e remissiva con i forti. Sensazione, tra l’altro, tutt’altro che estinta. Ma era chiaro che si trattava di una pace super-armata. Terminata ufficialmente con la reazione di Maurizio Sacconi all’editoriale di Sciortino su Famiglia Cristiana, che invitava la Chiesa a non svendersi per un piatto di lenticchie. Sacconi ricordò, pochi minuti dopo l’uscita delle agenzie sui contenuti dell’editoriale, l’impegno del Governo in favore della vita (degli altri…). Da allora si susseguono messaggi a mezzo stampa (interviste, dichiarazioni, comunicati) in cui si ha sempre la sensazione che vengano veicolati avvertimenti sottili, minacce velate, ordini nascosti fra le perifrasi (soprattutto da una parte) e sussurrate rassicurazioni sull’obbedienza (soprattutto dall’altra). Che dire dell’intervista, sempre di Maurizio Sacconi, ad Avvenire, pochi giorni dopo quell’editoriale, in cui rispolverò fuori dal cassetto il testamento biologico, dicendo che “per il governo si tratta di una materia che e' urgente portare a compimento e quindi ci aspettiamo che nel più breve tempo possibile quel disegno di legge, già licenziato dal Senato, venga approvato definitivamente”? Pare proprio una rassicurazione. Che dire di queste parole sul medesimo tema di monsignor Fisichella, per il quale sarebbe “paradossale” se “un ramo del Parlamento approva una legge votata a larga maggioranza e la Camera possa stravolgerla” e che “se la legge fosse stravolta, penso che sarebbe un autogol per la maggioranza che l'ha approvata”? Pare proprio un ordine. Ancora, cosa pensare di Severino Poletto, arcivescovo di Torino, che alla Stampa chiede che sulla RU486 “quanto di buono il governo o il parlamento possono fare per fermare questo male, è giusto e necessario che venga fatto quanto prima”? Forse siamo prevenuti, ma ci pare proprio un avvertimento.
Dunque, le parole di Berlusconi vanno inquadrate in questo contesto, fatto di una comunicazione poco trasparente e molto oscura. E la comunicazione riflette la natura dei rapporti e delle relazioni fra chi compie. Da cui, in questo caso, visti i ruoli e le istituzioni rappresentate, ci si aspetterebbe qualcosa di più decoroso…
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