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Articolo 21 - Editoriali
Il mancato senatore del partito mediale di massa
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di Beppe Lopez*

Ha attraversato la storia della televisione italiana, certo. Seguendone quella che, in economia, si definirebbe la “modernizzazione senza sviluppo”: dalla qualità dei valori al confezionamento sexy dei messaggi promozionali; dal pedagogismo di Stato, alla leggerezza, alla supremazia pubblicitaria, alle veline. Non è stato un bel vedere, negli ultimi venti/trent’anni, questa decadenza del Paese, della sua Tv e di Mike Bongiorno. Anche se, per lui, l’uomo che interpretò con rara efficacia e tenacia il ruolo della “mediocrità assoluta” nella telecultura di massa nazionale, sin dai suoi albori, non poteva andare meglio. Ha ottenuto tutto. Popolarità, soldi, un saggio su di lui di Umberto Eco, le imitazioni di Noschese, Sabani e Fiorello, la laurea honoris causa nel 2007 (a 83 anni), la Rai, Mediaset e infine Sky, ventotto trasmissioni di quiz, undici festival di Sanremo, sedici Telegatti (di cui due di platino!), una bella famiglia costituitasi in casa di produzione televisiva (come quella di Maurizio Costanzo), due figli registi e uno presentatore, la residenza milionaria a Montecarlo (dove risiedeva e dove è deceduto)...


Tutto, meno la realizzazione del suo ultimo sogno: essere nominato senatore a vita nella repubblichetta mediatica del Cavaliere, delle sue ministre di bella presenza e delle sue veline elevate a europarlamentari. «E io mi ero attivato a questo proposito», ha confermato ieri con rammarico il Cavaliere. «E pensare che forse era a un passo dal realizzare il suo ultimo sogno», ha rivelato Emilio Fede.
Ecco, questo a SuperMike è stato negato, presumibilmente dall’invidia culturale dei soliti accigliati intellettuali di sinistra, dai comunisti e da due o tre presidenti della Repubblica ancora troppo legati al passato, nemici della cultura di massa e inguaribili anti-berlusconiani. Non ce l’ha fatta. O meglio, non ce l’ha fatta il suo Cavaliere a sbaragliare tutti coloro che insistono a contrastargli il passo e il dominio assoluto (i comunisti, la magistratura, i sindacati, la stampa italiana ed estera, la Chiesa, Veronica, Casini, Fini...) prima che «l’uomo che ha creato la televisione» (detto ieri da Massimo Giletti) cedesse sotto il peso anche dell’ultimo sgarbo ricevuto, simbolicamente, proprio dal figlio del Cavaliere: il mancato rinnovo del contratto da parte di Mediaset, la potenza televisiva e pubblicitaria di cui lui era stato il fondatore e la faccia-traino sin dal 1981.


Bongiorno - come tutti coloro e tutto ciò che era transitato dal vecchio monopolio televisivo pubblico alla tv commerciale in versione berlusconiana - si era andato via via trasformando e riducendosi in procacciatore di pubblicità. La “mediocrità assoluta” di Lascia e raddoppia e di Umberto Eco era sopravvissuta a se stesso. Dall’aprile del 2008 conduceva L’offerta del mese sul canale Mediashopping. Aveva conosciuto una rinnovata popolarità con le campagne pubblicitarie in compagnia di Fiorello e con la caricatura che questi ne faceva nei suoi spettacoli.
Ecco: una caricatura. Colui che oggettivamente ha scritto alcune delle pagine più popolari della Tv di una volta - la Tv che aveva insegnato agli italiani l’italiano, che aveva concorso a fissare una identità nazionale, la Tv latifondo democristiano ma anche la Tv di Alberto Manzi, di Comencini, di Enzo Biagi, delle inchieste sul lavoro, di Pasolini, di Enzo Tortora, ecc. - ridotto a caricatura di se stesso.


Ma Bongiorno questo ce l’aveva un po’ nel sangue. Faceva parte delle sue astuzie professionali e della sua strategia esistenziale. Mediocrità assoluta? Sì, ci era e ci faceva. Le memorabili gaffes? Sì, gli scappavano e se le faceva scappare. E ieri il buon Fede, probabilmente con il sincero proposito di fargli un complimento in memoria, consigliava tutti di ricordarlo soprattutto «come il più intelligente e furbo gaffista che ha fatto delle gaffes motivo di popolarità». Cioè come un abile amministratore di se stesso e della propria mediocrità. Un professionista con le giuste dosi di opportunismo e di cinismo per costituire e rappresentare il meglio e il peggio della Tv commerciale berlusconiana e, un po’, della società e della politica mediale di massa che ha in mente l’attuale presidente del Consiglio italiano.
Il Bongiorno che ricordiamo oggi come una delle figure più popolari dell’Italia moderna (o semplicemente “modernizzata”), che è tra i ricordi più ruspanti e innocenti della nostra memoria individuale e collettiva - un personaggio e un ricordo utilizzato e spremuto come un limone da Berlusconi - è il Mike di trent’anni fa.
Quello di questo trentennio, invece, si confonde fra le decine, centinaia di figuranti del Partito Mediale di Massa (efficace definizione di Ilvo Diamanti) messo in piedi dal Cavaliere di Arcore, di Palazzo Grazioli e di Villa Certosa. Un Partito a cui manca ancora qualcosa per dirsi e farsi definitivamente Stato.


Tra queste, a livello simbolico, almeno un proprio Senatore (o Senatrice) a Vita. Siamo sinceramente contenti anche per Mike Bongiorno, ex-staffetta partigiana e amabile personaggio della nostra memoria collettiva, che questo sinora non sia avvenuto.

(*) Liberazione, 9 settembre 2009

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